Grazie all’autorizzazione di Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Giorgio Ponziano pubblicato sul quotidiano Italia Oggi.
Berlusconi? Il peggior evasore fiscale dopo Al Capone» (Filippo Cavazzuti, economista, ex-senatore Pd);«La trappola mortale del nostro paese è il deficit pubblico e rischiamo di rimanervi intrappolati» (Romano Prodi, economista, ex-presidente del consiglio); «Inutile parlare di riforma europea se non si avvia l’emissione di Eurobond, che implicano una politica monetaria comune» (Giorgio Basevi, economista); «Gli economisti hanno fallito, non prevedendo la crisi che stiamo attraversando, perché nei loro calcoli econometrici non figurava la variabile finanziaria» (Angelo Tantazzi, economista, presidente di Borsa italiana e di Prometeia).
Un summit di economisti con un minimo comune denominatore: sono stati colleghi o allievi di Beniamino Andreatta, il dossettiano da un lato economista, dall’altro politico (nella sinistra Dc), che, come ministro dell’Economia, cercò di raddrizzare la rotta della barca italiana, imponendo, tra l’altro, la liquidazione del corrotto Banco Ambrosiano (coi suoi incestuosi rapporto con lo Ior, che solo ora, con Papa Francesco, sta acquisendo trasparenza), una decisione che gli costò l’estromissione dal successivo governo (guidato da Amintore Fanfani).
Alcuni scritti di Andreatta sono stati raccolti in un volume (edito dal Mulino) presentato a Bologna, nella cui università egli ha lungamente insegnato, facendola diventare una fucina di studiosi di economia.
Cosa direbbe oggi Andreatta di fronte alla crisi economica ? Risponde Basevi: «Vivrebbe l’angoscia di essere un convinto europeista ma con la consapevolezza che non ci può essere l’Europa senza una politica monetaria e fiscale comune. Intendiamoci, non si tratta di mettere nel calderone i debiti di ogni Paese e quindi, per dirla platealmente, fare pagare ai tedeschi i debiti italiani o spagnoli. Ma di costituire un’agenzia e un fondo comuni in grado di emettere buoni del tesoro europei, che servano anche per garantire i flussi tra le banche centrali nazionali e la banca europea. Armonizzare le politiche economiche avendo lo strumento degli Eurobond, è la chiave di volta per uscire dall’impasse in cui è caduta l’Unione europea. Infatti il vero problema non è il deficit pubblico degli Stati ma il saldo della loro bilancia dei pagamenti. Una situazione che si può affrontare senza patemi se si armonizzano le politiche economiche, e quindi monetarie e finanziarie, e si emettono i buoni europei, che potrebbero servire anche a rilanciare le grandi infrastrutture plurinazionali». La ricetta è destinata a Enrico Letta, che tra poco dovrà guidare il semestre italiano dell’Ue. Nel suo intervento in occasione della fiducia ha citato l’impegno italiano in sede europea: un’affermazione che necessita di contenuti e Basevi ci prova.
Dall’Europa all’Italia. Con un altro consiglio: anziché tirarsi indietro, la Banca d’Italia deve attivarsi per affrontare il problema del moloch del debito pubblico. Lo spiega un altro economista, Alberto Quadrio Curzio, (Università Cattolica, nella foto), che ha curato (insieme a Claudia Rotondi) il volume dedicato a Nino Andreatta: «Le riserve auree di Banca d’Italia sono tra le più ingenti al mondo, terze dopo Stati Uniti e Germania (o quarte se includiamo in questa speciale classifica anche il Fondo monetario internazionale). Esse possono essere messe al servizio del paese, cioè utilizzate per ridurre il debito pubblico (con ingenti risparmi anche sul rifinanziamento) e come mezzo per riavviare la crescita». Si chiama Bankoro il piano che secondo Quadrio Curzio potrebbe rappresentare la svolta per il nostro Paese, che non può continuare a operare sotto la spada di Damocle del debito pubblico. Ovvero con la costituzione di una struttura (una banca) che gestisce l’oro di Banca d’Italia si potrebbero liberare (e utilizzare) risorse immediate per almeno 20 miliardi, in grado di avviare l’abbattimento del deficit.
Tutto questo è in linea con la situazione esistente nei Paesi partner europei: «La Banca d’Italia», sostiene Quadrio Curzio , «con una circolazione monetaria (fine 2012) di 150 miliardi di euro possiede un patrimonio netto di 23,5 miliardi mentre la Banque de France gestisce una circolazione non molto superiore (170 miliardi), ma ha un patrimonio poco sopra i 9 miliardi, e la Deutsche Bundesbank, con 227 miliardi di patrimonio dispone di capitale e riserve per appena 5,7 miliardi».
Anche per Cavazzuti occorrono interventi drastici per rimediare ai danni degli anni della spesa facile, quando il debito salì dal 65 % al 105 % del pil. «Certo non va ostacolata la ripresa produttiva», dice, «ma non si può neppure continuare a ignorare il problema, ovvero occorrono provvedimenti per risolverlo. Il che non significa aumentare la pressione fiscale ma varare un piano di rientro con obiettivi da raggiungere tappa dopo tappa». Aggiunge Prodi: «Fin dagli anni ’80 Nino Andreatta criticava in modo martellante la crescita del debito pubblico e osteggiava la spesa facile. Oggi insisterebbe anche sui temi etici, perché un Paese senza valori non può vincere. Aveva una fede profonda, ma non la sacrilega intenzione di coinvolgere Dio nelle sue scelte. Un atteggiamento che favorì la nascita dell’Ulivo e il dialogo fra cattolici e laici, pur con le complicazioni che si sono poi verificate».
Tra gli allievi politici di Andreatta vi è anche Enrico Letta, che spesso vede e si consulta con l’alter-ego di Andreatta, cioè Prodi: «Le emergenze da affrontare hanno cifre che fanno impressione», dice il Professore. «Inoltre continuare con la disoccupazione giovanile al top significa non avere più speranze. Certamente Letta affronterà le problematiche con rigore.»
Quanto alla vicenda della fiducia in parlamento, l’ex-premier gusta la sconfitta di Berlusconi ma si limita a commentare: «Mi pare si vada verso un chiarimento del quadro politico in direzione di quell’alternanza che ho sempre auspicato».
Infine, l’impreparazione degli economisti di fronte alla crisi, arrivata inaspettata. Prova a spiegare Tantazzi: «Gli Usa hanno vissuto un periodo lunghissimo di stabilità bancaria, senza crisi di sistema, dalla metà degli anni ’30 al 2007. Una fase così protratta che gli economisti americani, nei loro modelli, ponevano la stabilità del mercato del credito come una costante e quindi non la consideravano nei loro modelli econometrici. Un errore, perché un giorno il mondo si è svegliato diverso e impreparato a fronteggiare una situazione che aveva le sue radici proprio nel mondo del credito. Si è capito che il rigore matematico deve confrontarsi col mondo reale».