Sono in Germania, la ricca e prospera Germania. Qua le difficoltà non mancano, come ovunque. Però, a differenza dell’Italia, ci si può permettere di discutere, anche su importanti giornali come Die Zeit, del perché tanta gente si sceglie un lavoro sbagliato, quando avendo quello giusto si può essere felici e vivere meglio. Ovviamente, data la grande possibilità di scelta, in Germania, il lavoro sbagliato che ti rende infelice è conseguenza di scelte sbagliate del lavoratore: insomma, ti sei cercato l’infelicità, non ti è capitata!
In Italia, invece, questo ragionamento non ce lo possiamo proprio permettere: un lavoro, qualunque esso sia, anche quello più deprimente e più infelice, sarebbe una gioia per chi da mesi o anni cerca un’occupazione, anche molto al di sotto delle sue capacità, abilità e aspirazioni. E questo vale soprattutto per i giovani, che nel futuro non credono più.
Sarebbe carino, e interessante, se qualche sociologo si occupasse dell’analisi della “felicità” del lavoro: quanti lavoratori sono soddisfatti della propria occupazione? Quanti lavoratori hanno ottenuto benefici dal proprio lavoro? Quanti, invece, hanno subito effetti negativi sulla propria salute?
Su Die Zeit si legge che “menschen, die sich als hochzufrieden bezeichnen, werden von anderen auch so wahrgenommen. Sie sind offener für positive Einflüsse, nehmen leichter Kontakt auf und blicken optimistischer in die Zukunft. Sogar ihre Immunabwehr ist besser, sie sind selten krank“. In poche parole, chi si dichiara soddisfatto del proprio lavoro è visto positivamente dagli altri, vede egli stesso la vita in modo più roseo e anche il futuro è vissuto come più “leggero”. Ironicamente potremmo dire che è stata scoperta l’acqua calda. Ma tant’è. Ma cosa più importante, un lavoro che soddisfa ha un’influenza positiva sulla salute: chi è felice, si ammala di meno. Questo, ovviamente, ha effetti economici positivi: riduzione dell’assenteismo, meno costi sociali e così via.
In un Paese dove i posti di lavoro scarseggiano, invece, come in Italia, porsi queste domande è un lusso che non ci possiamo permettere.
In un recente lavoro di Emilio Reyneri, sociologo del lavoro dell’Università Milano Bicocca, assieme a Federica Pintaldi, ricercatrice ISTAT, è emerso che l’Italia non solo ha visto aumentare il numero di disoccupati e di inattivi, ma è anche riuscita a non aumentare posti di lavoro, dal 2008 ad oggi. Gli occupati stagnano, le imprese chiudono, i disoccupati aumentano, ma marginalmente e questo perché, in realtà, sono aumentati i delusi, i disillusi e i rassegnati: gli inattivi, che, come spiega il prof. Reyneri, hanno una peculiarità rispetto ai disoccupati, per cui sfuggono alle statistiche, essi non cercano attivamente lavoro (sarebbe disoccupati, come categoria), ma sono immediatamente disponibili ad un lavoro, ma non lo cercano, perché non ci credono più.
Situazioni strane dell’Italia di oggi. Quali prospettive? I dati ci dicono che siamo messi male, e sarà ancora peggio. La priorità è ridare fiducia nel futuro, impegnarsi per creare condizioni di vita migliori ed evitare quella che la London School of Economics ha definito, desertificazione economica e sociale dell’Italia.