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La Cassa dei desideri tra Finmeccanica, Alitalia e banche…

Tutti la cercano, tutti la vogliono. Chi? Ma la Cassa depositi e prestiti, ovvio.

Il gigante addormentato che Giulio Tremonti ha risvegliato, provocando turbamenti e strepitii molto ideologici, in tempi di crisi e di capitalisti con sempre minori capitali, viene sedotto, coccolato, invocato e naturalmente pure criticato.

Ma ora la Cassa presieduta da Franco Bassanini e capitanata dall’ad, Giovanni Gorno Tempini, non è solo utilizzata per qualche escamotage contabile ad uso e consumo del Tesoro, ma anche – forse – per qualche parcheggio societario e magari per ancora vaghi disegni industriali.

La vendita ad esempio da parte di Finmeccanica del controllo di Ansaldo Energia al fondo strategico (Fsi) della Cdp sembra più una forma di parcheggio in attesa di definire la vendita ai coreani di Doosan. Mentre sulle altre Ansaldo (Breda ed Sts) che il gruppo Finmeccanica presieduto da Gianni De Gennaro e guidato dall’ad, Alessandro Pansa, intende dismettere per concentrarsi su difesa, aerospazio e sicurezza, c’è chi ipotizza una sorta di polo nazionale dei trasporti.

Ma se polo dev’essere, perché non far intervenire la Cassa in Alitalia? In ambienti dell’ex compagnia di bandiera, e pure di gestori aeroportuali, l’ipotesi si è affacciata ed è stata pure caldeggiata, come ha svelato due giorni fa il Messaggero: perché la Cdp è nella Brebemi e non può essere in Alitalia?, è stata la domanda birichina di fonti alitaliane. Ma secondo Daniele Martini del Fatto Quotidiano, sul dossier Alitalia ci sarebbe una divergenza di impostazione fra Bassanini e Gorno Tempini.

Quello che è di sicuro certo è che Bassanini vede con favore anche uno scorporo della rete fissa di Telecom, per poter avviare al meglio la realizzazione della banda ultra larga in fibra ottica, come ha rivelato lo stesso ex ministro ieri. Ma a questo punto non è del tutto peregrina – nella visione interventista della Cassa – l’opzione di una partecipazione diretta della Cdp nel capitale di Telecom, come caldeggiato ad esempio dall’associazione Asati che riunisce i piccoli azionisti del gruppo telefonico.

Mere congetture? Forse. Però di un ruolo della Cdp (80 per cento Tesoro, 18 per cento fondazioni bancarie) si sta vociferando anche nei gruppi di lavoro al ministero dell’Economia che stanno approntando una nuova legge sulle fondazioni bancarie per prevedere un percorso di progressiva uscita degli enti creditizi da partecipazioni rilevanti nelle banche partecipate, come svelato questa settimana da Andrea Greco su Repubblica, seppure tra qualche attrito fra dirigenti del Tesoro e uomini della Banca d’Italia che il ministro Saccomani ha voluto coinvolgere sul dossier.

Domanda: le fondazioni bancarie a chi possono vendere le azioni degli istituti d credito che al momento incorporano una minusvalenza? Alla Cassa? Per ora è solo una idea, domani chissà.


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