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La ricerca del consenso che uccide la politica

Uno degli aspetti che più colpisce nell’analisi dei problemi del sistema democratico contemporaneo in quasi tutti i paesi occidentali e soprattutto nel nostro, è la tendenza della politica a privilegiare esclusivamente obiettivi a “breve termine”, che consentono la costruzione di un consenso immediato.

Il consenso è senz’altro uno degli aspetti determinati del nostro sistema democratico, ne è il fondamento, fattore costitutivo e cardine su cui da decenni si innescano le Costituzioni e il nostro modello sociale, ma non può essere un obiettivo fine a sé stesso.
Il problema non è solo un sistema elettorale che ci sottopone a continue e ravvicinate elezioni, ognuna in grado di sovvertire quanto ha determinato la precedente.

Il problema non è neanche “l’enfatizzazione mediatica”, sicuramente deviante e distorcente per i toni i contenuti tendenti a privilegiare le particolarità che “bucano” l’attenzione, senza traccia di deontologica professionale.
Questo fenomeno degenerativo nasce molto più a monte, in un sistema politico che non solo ha perso leader e metodo, ma soprattutto ha smarrito quello che era il fattore fondamentale di ogni struttura politica: i valori di riferimento.

Per decenni, dalla ricostruzione del dopoguerra, alla gestione del “miracolo economico”, le forze politiche del nostro Paese si sono basate su concetti valoriali, oggi sprezzatamente chiamati
“ideologie”, che hanno guidato l’azione dei partiti e dei loro leader.
I valori di riferimento non erano solo l’anima del confronto dialettico, erano anche il puntello di un sistema di autorevolezza che consentiva a chi aveva la possibilità di governare o a chi lo contrastava dal versante dell’opposizione, di indicare prospettive, progetti, scenari all’interno delle quali collocare le proprie decisioni.

Questo permetteva di poter operare nel medio e lungo termine, perché i valori di riferimento consentivano scelte di questo tipo, anche se queste, nel breve, potevano apparire penalizzanti.
In questo contesto dialettico si discuteva del futuro e non nell’emotività dell’esposizione quotidiana sui media.

Gli stessi leader che abbiamo di fronte oggi e quelli nuovi che si stanno profilando all’orizzonte, rappresentano questa tendenza, in cui si privilegia la forma, l’età, la spregiudicatezza, la rapidità con cui si comunica sui social o in televisione, in un vuoto di valori, contenuti e di progetti a dir poco sconcertante, al punto che le loro argomentazioni appaiono pressoché uguali, indipendentemente dall’appartenenza. Lavoro, giovani, tasse appaiono più slogan che obiettivi di progetti concreti e le stesse forme di comunicazione sui social e i tweet rappresentano il simbolo e il limite di questa fase di confronto.

Impossibile usare questi strumenti per trasferire concetti e ragionamenti, sono solo utili a somministrare, anzi bombardare, il pubblico con messaggi puramente emotivi. L’obiettivo non è convincere attraverso il ragionamento, ma spingere le scelte sulla base di simpatie o antipatie, su esteriorità o comportamenti. Alternanza di slogan e parole d’ordine non supportate da teorie o percorsi di realizzabilità.

In più occasioni , di cui la più recente durante il convegno estivo di Symbola, abbiamo sentito molti chiedere ai rappresentanti politici una sola cosa : “dateci un progetto”, “diteci dove volete portare il paese da qui a 3/5 anni”, “dateci una motivazione per sacrificarci oggi”.
È difficile trovare, nei diversi schieramenti politici, una risposta a queste domande.
Lo scenario che ne deriva ci appare obiettivamente sconsolante: soprattutto se si riflette su un “sistema democratico” burocratizzato, tanto enfatizzato quanto incapace di svolgere il ruolo per cui è stato creato: governare.

Allora la domanda che ci dobbiamo porre è: ha la nostra società la capacità di reagire e di rigenerarsi o dobbiamo sposare un pessimismo cosmico quale quello di Leonardo Sciascia motivato dall’assenza di obiettivi da raggiungere? Quesito difficile, risposta complessa.

In ogni caso non è vero che l’attenzione e la motivazione verso il valore siano scomparsi.
Essi sono presenti in molte aree del mondo cattolico, in numerosi movimenti ed attività giovanili, nel mondo delle Onlus, della ricerca, della cultura, realtà sopravvissute o nate fuori dal sistema politico.

Il problema è allora trasferire queste esperienze e questa voglia di fare, al sistema politico (non l’attuale) per riappropriarsi della capacità di discutere del futuro, di progetti, di visioni, e di valori in un contesto pur di confronto dialettico ma che riesca a trovare la sintesi nella concretezza del fare.

Impegno difficile, ma unica occasione per trovare un sentiero nel buio contemporaneo.

Umberto Malusà
ISC, Integrated Strategy Consulting



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