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La spallata di Alfano e Letta a Berlusconi? Una riflessione

In queste ore i media nazionali e internazionali hanno celebrato il funerale politico di Silvio Berlusconi, e salutato con fanfare l’emancipazione del delfino Angelino Alfano. Il “parricidio” commesso dagli “alfaniani” sarebbe la prova di un cambiamento epocale per la storia recente italiana. Ma è davvero così? Alcune riflessioni sulla situazione politica italiana sono allora d’obbligo.

Il Re è morto? 

Potrei essere eccessivamente pessimista, tuttavia non darei per “morto” Silvio Berlusconi, egli è ancora il Presidente del PDL, ma non solo, è anche il suo fondatore e maggiore azionista, proprio in termini economici. Il PDL è nato, ha prosperato e si è buttato nella campagna elettorale precedente con i soldi di Silvio Berlusconi.

Potrà sopravvivere questo “esercito della libertà” senza i soldi del Capo? Credo di no.

Inoltre, Silvio Berlusconi, come è noto, detiene il controllo di una buona parte dei media nazionali, in cui vivono numerosi berlusconiani doc, pronti ad ogni genere di capriola pur di difendere il proprio Capo. Penso, per esempio, a Sallusti, che ha già iniziato un’operazione di delegittimazione nei confronti di Alfano e Cicchitto, e dunque di tutti i traditori di Silvio Berlusconi, tacciandoli di “collaborazionismo” con la sinistra.

Certo, fanno notare in molti che ad ogni governo Berlusconi ha avuto delle gatte da pelare proprio tra i suoi alleati. Ha iniziato con Casini, poi Fini ed oggi siamo ad Alfano. Tutti hanno contestato a Berlusconi (l’ultimo ha taciuto, ma ha agito con ottimi risultati) un uso personalistico della politica, e una gestione padronale del partito.

Nelle precedenti “spallate”, però, Silvio Berlusconi ha sempre vinto, ha sempre ridotto a minoranza la voce che dissentiva e poi è riuscito ad escluderla. Questa volta, invece, sembra che abbia “ceduto”.

Il Re non è morto, ma non sta tanto bene

Silvio Berlusconi è ancora a capo di un partito che sta per metà inella maggioranza e per metà all’opposizione. Ha il sostegno delle fronde più estreme del partito, da Daniela Santanché a Sandro Bondi, passando per Brunetta. Ha l’appoggio di Sallusti e del suo giornale, così come delle proprie televisioni e dei propri “amici” di sempre. Rinnovando la fiducia al governo Letta ha compiuto un gesto di “realpolitik” come ha twittato un importante giornalista di Die Welt ieri.

Ha capito, infatti, che conti alla mano (presentati ieri al Senato, in un foglio di carta da una fedelissima – vedi foto in galleria) una votazione di sfiducia lo avrebbe effettivamente distrutto politicamente, perché avrebbe consentito ai dissidenti di emergere, di farsi forti dell’omicidio politico pubblico di Silvio Berlusconi. Non poteva permetterlo. Così, ha votato sì alla fiducia, per poter avere ancora una voce in capitolo sul governo. Non a caso, poco dopo, i più coraggiosi (o sfacciati) tra i dissidenti PDL, Formigoni in testa, e lo stesso Enrico Letta, hanno precisato: “la fiducia sarebbe passata comunque anche se Berlusconi avesse detto no”. Ossia, noi ci siamo, siamo tanti e Berlusconi non è più decisivo.

Silvio Berlusconi ci ha abituati a colpi di scena, a rimonte rocambolesche dell’ultima ora, a rimonte assurde. Non diamolo per morto, potrebbe sempre riprendersi. Diciamo, però, che rispetto alle volte precedenti, è molto più debole.

Il Re sta male, chissà che qualche medico di corte non gli somministri un qualche cosa per toglierlo da questa situazione di dolore.

Alfano e i medici di corte

 Il centro destra sta cercando di emanciparsi dal proprio fondatore. Angelino Alfano, il delfino, il premier in pectore, è stanco di essere l’eterno secondo e ha trovato la strategia giusta per condurre Berlusconi al traguardo politico. Non lo ha affrontato frontalmente, lo ha lavorato ai fianchi, come avrebbe fatto lo stesso Berlusconi in circostanze diverse (pensiamo al precedente governo Prodi o alla votazione di sfiducia voluta da Fini), ha tessuto una rete di accordi tra delusi, stanchi e incerti nel PDL. Ha capito che il destino di Silvio Berlusconi è segnato dall’imminenti voto in giunta e dunque era mortale, legare le sorti del governo a quelle personali di Berlusconi.

Cicchitto ha ribadito che i due fatti non sono legati, come ha detto lo stesso Enrico Letta parlando ieri alle Camere, e che la difesa di Berluscon dalla magistratura politicizzata continuerà, perché il PDL tutto è fermamente convinto che Berlusconi sia un perseguitato, ma hanno anche capito che il dramma rischia di portarli tutti alla rovina: Berlusconi non è eterno, qualcuno dovrà poi subentrare nel Partito, e questo partito rischia di essere distrutto, e con lui tutto il consenso politico.

Alfano è il chirurgo di questa operazione politica di separazione tra vecchio e nuovo, un po’ come accade quando viene asportata la parte malata per salvare il tessuto buono. L’operazione iniziata da Alfano e dagli alfaniani è un un delicato intervento di microchirurgia: tagli secchi, decisi, ma invisibili. Punti trasparenti e cicatrici future sopportabili.

Ha ragione Gramellini, che nelle sue pagelle ha dato un bel 7+ ad Alfano, un 7 a Letta (9 per la capacità politica) e 8 a Napolitano, vero vincitore di questa partita. La fiducia a questo governo è stata una vera azione di tattica politica da parte di Letta e di Alfano, ma è stata anche un’operazione di contrasto a Berlusconi senza precedenti.

Siamo già al dopo Berlusconi? 

Come dicevo all’inizio, Berlusconi non è fuori dai giochi, è però molto ridimensionato. Per ora è riuscito a confondere le acqua, di nuovo. Non sappiamo se questi dissidenti, ora che sono stati coperti dal voto compatto del PDL, avranno il coraggio di emergere e di separarsi, non sappiamo se Alfano avrà il coraggio vero di prendersi il Partito come segretario, o se Berlusconi riuscità a ricomporre le fila sparpagliate. Per questo motivo, lucidamente, credo sia opportuno aspettare una serie di eventi:

1) la creazione del nuovo gruppo parlamentare dei dissidenti che saranno quindi, ex PDL,
2) la presa di posizione di Berlusconi nei prossimi giorni e dei suoi fedelissimi, quindi capire se e come intende intervenire nelle faccende di Governo,
3) la creazione della tanto decantata Forza Italia (fase 2) e se questa sarà davvero capace di attirare consenso sfruttando l’effige del vecchio Re, oppure se sarà un fallimento politico e dunque personale, l’ennesimo, di Berlusconi,
4) la decadenza di Berlusconi in giunta al Senato e le reazioni anche dei dissidenti a tale evenienza.

L’Italia deve riformare se stessa, e la Politica è il primo campo da riformare. La faccenda del PDL è importante perché sembra che la direzione intrapresa sia quella di ricompattare i cosiddetti moderati (il centro e il centro destra non berlusconiano) in una forza politica ispirata al PPE europeo e dunque più simile ad una CDU Merkeliana. Una destra sempre d’ispirazione cristiana, certo, ma più dialogante e pronta al compromesso con gli avversari. E soprattutto più forte nell’identità politica e libera dai condizionamenti “personalistici” di Berlusconi, ormai inviso a tutti, soprattutto al PPE.

Uno sguardo anche a sinistra

Queste osservazioni, però, non possono essere separate da alcune analisi che riguardano la sinistra italiana. Se il PDL è riuscito finalmente a fare il primo passo in avanti, verso la democratizzazione del proprio apparato politico e verso l’Europa, il PD cosa fa? Avevo scritto giorni fa della necessità anche per il PD di riformare se stesso, poi ho ascoltato Cicchitto che diceva le stesse cose a Ballarò e ho avuto sconcerto. Non mi ero mai trovato a dover condividere un pensiero con Fabrizio Cicchitto.

Il PD ha la necessità di trasformarsi: il partito dispone di risorse enormi che gli altri gruppi non hanno. Una rete di cooperazione capillare a livello locale, una forte partecipazione dal basso da parte di militanti legati ai valori della sinistra, che ci credono sul serio e si impegnano. Una classe dirigiente popolata da moltissima brava gente e soprattutto da gente capace (Letta, per quanto ex democristiano e per quanto sia troppo al centro, è una personalità di enorme spessore politico) e preparata.

Da questo punto di vista, non deve perdere terreno rispetto all’avanzata del M5S, perché ha in più una struttura partitica forte e democratica dove non è il leader che vale, ma la struttura in sé. Non è un partito padronale e dunque è l’unico che può, con degli aggiustamenti organizzativi e ideologici, indirizzarsi verso il futuro senza troppe difficoltà. Ovviamente, l’orizzonte sono le grandi social-democrazie europee e dunque, la SPD tedesca come “sorella”.

Ma sul PD dobbiamo approfondire molto, occorre un post solo per questo.



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