Anticipata tempo fa da Dagospia (chapeau), la voce di una possibile fusione fra Corriere della Sera e la Stampa, oggi ha superato i confini del gossip, del chiacchiericcio fra giornalisti sfaccendati e ha assunto concretezza.
Pietro Scott-Jovane, amministratore delegato di RcsMediaGroup, la casa editrice che pubblica il quotidiano milanese e ha come primo azionista la Fiat, proprietaria al 100 per cento di quello torinese, si è rifiutato di commentare i rumors riemersi su questo matrimonio di carta: non li ha confermati e non li ha smentiti.
Il che, nel linguaggio mediatico, di solito si può interpretare come un cocktail con 40 per cento sì, 30 di no e 30 di forse. Un’indicazione non trascurabile che segue la notizia di pochi giorni fa (questa volta confermata) sulla fusione delle concessionarie pubblicitarie delle tue testate giornalistiche le quali, insieme, dovrebbero avere una forza sul mercato tale da impensierire la concorrenza.
Si vedrà come andrà a finire questo tormentone già soprannominato Stampa della Sera (copyright del solito Dago). I critici sono molti, una schiera fittissima che con argomenti solidi contrasta l’operazione: si uccidono due testate storiche, fra le più blasonate del giornalismo italiano; i lettori dell’una e dell’altra non si sommeranno automaticamente, ma anzi se me perderà una buona parte per strada; si finirà per fare giornali con scarsa identità, poco attraenti, quindi destinati a un’inevitabile decadenza…e via cassandreggiando.
Tutti questi dubbi (e molti altri ancora) sono legittimi e fondati: non si gira una pagina di storia dell’informazione senza lasciare strascichi. Però… c’è un però immenso da non trascurare.
L’informazione cartacea così come l’abbiamo conosciuta finora è in una crisi irreversibile. Una crisi non solo italiana, ma internazionale. Globale, tanto per usare per una volta a proposito un termine spesso abusato. I nuovi media giorno dopo giorno tolgono ossigeno vitale (lettori e pubblicità) a quotidiani e periodici senza, tuttavia, riuscire a rimpiazzarli come business.
Tutti gli editori tradizionali sono in sofferenza e nessuno è ancora riuscito a individuare con chiarezza un modello che metta insieme vecchio e nuovo e permetta la sopravvivenza. In attesa che arrivi la buona novella dall’America dove Jeff Bezos, tycoon della new economy, ha comprato il Washington Post e avrà qualche formula magica da insegnare al mondo, chi tutti i giorni deve vedersela con bilanci sempre più in rosso qualcosa deve inventare.
La prima casa editrice italiana, Rcs appunto, ha già venduto partecipazioni estere (Flammarion), ceduto o chiuso testate, ha messo in vendita la sede storica del Corriere. Ma evidentemente non basta ancora. E allora ecco l’idea del matrimonio, con la finalità certa e principale di un decisivo taglio di costi (leggi: eliminazione massiccia di posti di lavoro).
Funzionerà? Va a saperlo. La risposta non può che essere un cocktail con il 10 per cento di sì, il 10 di no, e l’80 di forse.
Gianni Gambarotta