“Gatto del Cheshire – chiese Alice – mi diresti per favore che strada devo prendere per andarmene di qui?”
“Dipende molto da dove vuoi andare” rispose il Gatto.
Dopo essere stato approvato in prima deliberazione l’11 luglio scorso, mercoledì è stato confermato in seconda votazione al Senato, a maggioranza dei due terzi, il disegno di legge costituzionale 813, che istituisce un “Comitato Parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali”.
Si tratta di un progetto tanto ambizioso quanto necessario. Il Comitato, in caso di conferma anche alla Camera, avrebbe infatti il compito di rivedere i Titoli I, II, III e V della Seconda Parte della Costituzione, ossia le norme che riguardano il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo e gli enti locali (Regioni, Province e Comuni). Escluso ogni intervento sulle norme che riguardano la Magistratura (Titolo IV).
E’ evidente, ormai, che il sistema di contrappesi, nato dal compromesso fra le diverse ideologie che hanno scritto la Costituzione (liberalismo, socialismo cattolico, egualitarismo di matrice marxiana), non ha oggi più molto significato e non fa altro che rallentare il funzionamento delle istituzioni.
Il sistema di relazioni internazionali di cui l’Italia fa parte, a cominciare dall’appartenenza all’UE, è tale da escludere un serio pericolo di ritorno della dittatura nel nostro Paese.
Ben si possono togliere le briglie al potere esecutivo, quindi, aumentandone ad esempio i poteri in fase di scrittura delle leggi o di determinazione di ordini del giorno prioritari per l’esame delle proprie proposte in Parlamento, con previsione di tempi certi di discussione.
Ben si può rivedere il rapporto di fiducia fra potere legislativo ed esecutivo, stabilendo che la sua cessazione possa avvenire solo in forma costruttiva.
Ben si può fare del Presidente del Consiglio, quantomeno, un vero e proprio Premier, con poteri esclusivi sulla composizione della squadra di governo e la revoca degli incarichi.
Discutiamo serenamente anche della figura del Presidente della Repubblica e di una sua eventuale investitura popolare, senza paura di una forma di governo presidenziale o semipresidenziale.
Riformiamo la legge elettorale, facendo in modo che dia origine a maggioranze su cui l’azione dell’esecutivo possa reggersi in maniera stabile, sino alla successiva tornata elettorale.
Aboliamo il bicameralismo perfetto, anacronistico retaggio di un’epoca passata in cui la rappresentanza veniva divisa fra aristocrazia e borghesia.
Si tratta del dibattito pubblico più importante a cui ci troviamo di fronte dalla scelta della forma repubblicana in luogo di quella monarchica. Un’occasione da non perdere.
In questo dibattito si inseriscono gli appelli strumentali e pervasi di ideologia di chi si fa garante del “futuro della democrazia”, senza accorgersi che in tal modo va proteggendo un’organizzazione che non funziona, quantomeno non con quella velocità, speditezza e snellezza che è richiesta dai tempi moderni.
La competizione fra stati si gioca anche su questo. Stare o meno nel G8, sarà anche frutto delle scelte che compiremo sulla forma di governo.
E’ quindi francamente inconcepibile l’attacco, tutto ideologico, sterile e di principio, sul disegno di legge 813 ed in particolare sulla deroga che vorrebbe introdurre all’art. 138 Cost.
Nella sua versione attuale, l’art. 138 stabilisce che una riforma della Costituzione debba essere approvata da entrambe le Camere in due deliberazioni a distanza non inferiore di tre mesi, e che possa essere assoggettata ad un referendum confermativo solo nel caso in cui, in seconda deliberazione, NON si raggiunga una maggioranza dei due terzi.
Il disegno di legge 813 contempla un procedimento in deroga a questo articolo, dimezzando il tempo di tre mesi fra una deliberazione e l’altra, al fine di accorciare l’iter di approvazione.
Questa deroga è stata strumentalmente attaccata da appelli come quelli del Il Fatto Quotidiano o di Grillo, secondo i quali si tenterebbe così di far saltare la valvola di sicurezza del nostro sistema democratico. Per altri, i voti dati l’altro ieri in Senato sarebbero addirittura ”maledetti”.
Peccato che i promotori ed i sottoscrittori di simili appelli omettano di dire che il disegno di legge fa una concessione importantissima alla Sovranità Popolare, poiché a fronte di una riduzione dei tempi di deliberazione, consente di poter chiedere il referendum confermativo SEMPRE, quale che sia la maggioranza parlamentare che approverà la riforma e quindi, per ipotesi, anche in caso di deliberazione unanime del Parlamento (art. 5 del disegno di legge 813).
Si tratta solo di battaglie ideologiche, strumentali e di principio, che così condotte non fanno bene al nostro Paese, essendoci invece bisogno di serenità di giudizio in vista dell’importante referendum a cui di certo saremo chiamati nei mesi a venire (con votazione norma per norma, però, e non sull’intero progetto come nel disastroso referendum sul premierato del 2006).
Nel frattempo, ciascuno di noi approfondisca i temi del dibattito, partecipi agli incontri ed ai seminari che si terranno sull’argomento. Perché, per come siamo messi oggi fra legge elettorale, bicameralismo perfetto, precarietà della relazione parlamento-governo (l’Italia repubblicana ha avuto 64 governi in 68 anni, quasi uno all’anno), qualsiasi proposta fra quelle che i saggi stanno elaborando come base di discussione per il Comitato Costituzionale, introdurrebbe un sistema comunque migliore di quello attuale.
Nel mentre, stiamo in guardia rispetto alle facili strumentalizzazioni ed ai demagoghi dell’acqua privata e della usurpazione di democrazia.
O ridisegniamo le regole che stanno alla base della formazione della volontà popolare e della relazione fra parlamento e governo, oppure, senza stabilità, senza esecutivi di lunga durata, non potremo mai avere una prospettiva di medio-lungo corso e dovremo sempre navigare a vista, giorno per giorno.
In fondo, “oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi” (E. Hemingway).