L’approvazione della legge Severino allo scadere della scorsa legislatura e l’emendamento approvato ieri in Commissione al Senato per l’abrogazione del reato di clandestinità (proposto dai grillini e duramente criticato dal loro guru Grillo) sono legati da un denominatore comune: la pavidità di un Parlamento dove i rappresentanti sono vittime degli umori ambientali che li rende succubi di un populismo a volte giustizialista a volte buonista, in ogni caso ipocrita.
Con la prima, questi politici, più o meno in maniera consapevole, hanno di fatto consegnato ad un ordinamento dello Stato il potere discrezionale assoluto di intervenire sulla vita democratica del Paese.. e non c’entra Berlusconi. Con la seconda, se sarà approvata la decisione della commissione, si accingono ancora a volta a celare i veri problemi di una delicata e spinosa questione dietro il paravento dell’abrogazione di una norma di legge vigente in tutti Paesi democratici, che certamente non possono essere accusati di essere insensibili alle tragedie umane o peggio incivili.
Se da una parte non possiamo certamente chiedere a tutti i nostri in Parlamento di assurgere al ruolo di statisti, dall’altra sarebbe almeno lecito pretendere dagli eletti che assumano il coraggio, la forza e la dignità di non essere continuamente condizionati dal contingente comune sentimento della gente che, per sua nota italica caratteristica, è fin troppo volubile.