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Come le società cinesi si espandono all’estero

L’arco di tempo compreso tra i prossimi cinque o dieci anni sarà un periodo d’oro per l’espansione all’estero delle società cinesi. La previsione, affidata al quotidiano Global Times, che riguarda i settori dell’intrattenimento e dell’energia, è di Liu Xiao, analista di macroeconomia della società di consulenza pechinese Anbound.

I dati del ministero del Commercio, pubblicati giovedì scorso, indicano che nei primi nove mesi dell’anno gli investimenti cinesi all’estero sono cresciuti più rapidamente rispetto a quelli stranieri diretti nel Paese. Per i secondi, l’aumento è stato del 6,2 per cento, contro il 17,4 per cento degli investimenti del Dragone fuori dai propri confini, che hanno toccato i 61 miliardi di dollari.

L’ondata di investimenti cinesi da molti prevista o temuta – a seconda dei punti di vista – non si è però ancora materializzata e potrebbe non farlo, scriveva a giugno Dereck Scissors sul sito dell’Heritage Institute. Scissors individuava in energia, agricoltura e risorse naturali i principali settori di interesse.

Un’altra area cui guarda Pechino è quella della tecnologia, nonostante i tentativi spesso non andati a buon fine, in particolare per l’intromissione dei governi, su tutti quello statunitense. Si pensi ad esempio ai casi di Huawei o ZTE, colossi delle comunicazioni considerati troppo vicini al potere cinese e perciò guardati con sospetto a Washington, che teme per la propria sicurezza nazionale.

Nella prima metà del 2013, il centro studi statunitense calcolava comunque in quasi 43 miliardi gli investimenti cinesi all’estero. Oltre quattro volte i 9,9 miliardi di dollari del 2005 e, soprattutto, una cifra che non si discosta troppo da quelle ufficiali diffuse dal governo di Pechino.
L’avanzata cinese non manca tuttavia di destare sospetti e timori. Uno dei fattori centrali, almeno tra quelli che l’Heritage indica, è il ruolo svolto in questa avanzata verso l’estero dalle grandi aziende statali, che costituiscono la maggior parte del volume degli investimenti secondo i dati dell’istituto, sebbene il ruolo dei privati sia in crescita, soprattutto dal 2012. Un esempio sono le acquisizioni della Wanda, conglomerata che spazia dall’immobiliare – prima fonte d’investimento – all’intrattenimento.

Spiega ancora Scissors che in termini di sicurezza nazionale la proprietà non conta più di tanto. Ciò che è da temere è la debolezza cinese in fatto di rispetto dello Stato di diritto e fare in modo che le società cinesi, che arrivano da un mercato in cui sono tutelate dalle connessioni politiche, sebbene ora si stia ad esempio intensificando la lotta alla corruzione, si attengano alle leggi, nel caso preso in considerazione a quelle statunitensi

Come scrive il sito Quartz, le multinazionali cinesi fanno registrare risultati scarsi per quanto riguarda la trasparenza e il rischio di infiltrazioni corruttive, secondo l’indice stilato dall’organizzazione Transparency International sui Paesi emergenti.

Delle 32 prese in considerazione, quelle più aperte, la LDK Solar e la Sunthech Power, attive nel campo delle rinnovabili, ricevono appena una valutazione del 7 per cento. La media delle 20 multinazionali indiane, per fare un paragone, è del 29 per cento.


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