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Perché in Italia è impossibile tagliare la spesa pubblica

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

L’ultima legge di stabilità, quella appena approvata dal governo, certifica definitivamente l’impossibilità italiana di tagliare la spesa pubblica corrente. Nel funzionamento della macchina pubblica i circa 800 miliardi annui di spesa corrente sono tutti produttivi e tutti indispensabili alle esigenze di funzionamento dell’economia italiana. Tagliarne anche solo il 3 o il 4% è impossibile.

Il messaggio che il secondo governo di larghe intese, dopo quello Monti, manda ai mercati finanziari internazionali è di una negatività assoluta: lobbies e debolezza politica impediscono all’Italia di ridefinire i meccanismi di formazione della sua spesa corrente annua e la condannano a una traiettoria di sottosviluppo. Come può, del resto, un investitore credere che, una spesa corrente pensata per mantenere un’organizzazione definita per la produttività e le tecnologie di qualche decennio fa, possa essere ritenuta ancora valida e immodificabile oggi?

Ovvio che interpreta l’impossibilità italiana alla spending review come un’impossibilità riformatrice del Belpaese per liberare risorse da capitoli di spesa datati e poco remunerativi o utili e impiegarle meglio altrove. L’Italia è intrappolata nella sua spesa pubblica corrente irriformabile e si ritrova con una pressione fiscale stabilmente sopra il 43% per finanziare una macchina pubblica tra le meno produttive tra tutte quelle dei paesi avanzati e dalla qualità media più tipica di quella di un paese in via di sviluppo che non della p.a. tedesca o canadese. Una trappola che condanna l’Italia alla non crescita e la rende un mercato non appetibile per i capitali internazionali alla ricerca di buoni rendimenti.

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