Skip to main content

Libano, Siria e Iran, l’alleanza sciita vicina alla frattura

Pubblichiamo un articolo del dossier “Usa-Iran: distensione vera?” dell’ISPI, Istituto per gli studi di politica internazionale.

Le recenti dichiarazioni del presidente iraniano Rohani e la conseguente storica telefonata con la sua controparte statunitense, Barak Obama, possono aver quantomeno sconcertato il più fedele alleato di Teheran, Hezbollah. Intendiamoci, non basta uno scambio di battute al telefono per risolvere trenta e passa anni di frizioni diventate rancori e tensioni che, più volte, hanno rischiato di collassare in uno scontro armato. Se fra Teheran e Washington si giungerà a una normalizzazione dei rapporti diplomatici, sarà dopo un lungo processo di appeasement. Una road map il cui termine è impossibile scorgere a occhio nudo.

D’altra parte, in politica, alle volte accade che le conseguenze precedano il fatto. Hezbollah, nella fattispecie, potrebbe giocare di anticipo alle ripercussioni (virtuose) della telefonata tra Rohani e Obama, e comportarsi come se tra l’Iran (alleato e fratello maggiore) e gli Usa (nemico giurato) fosse già crollata la storica cortina di ferro. Il ragionamento ha come presupposto la sostenibilità del dialogo Iran-Usa. Per una lunga e realistica serie di motivazioni, che non è il momento di elencare, la mano tesa di Rohani può avere un futuro quanto ritirarsi immediatamente.

In quest’ultimo caso, la solidità dell’asse sciita non sarebbe in discussione. Il gesto del presidente iraniano passerebbe come uno tentativo sterile, privo di un supporto interno e di reagenti positivi sul piano inter-nazionale. Nell’ipotesi contraria, e cioè che la dispo-nibilità dei Teheran abbia davvero un seguito, chi avrebbe da rimetterci in toto sarebbe Hezbollah.

Teheran parla con Washington. Di conseguenza il Partito di Dio si trova da solo. Da solo a contrastare i jihadisti in Siria. Da solo in Libano di fronte all’alleanza sunnita-maronita, che troverebbe nuova forza in prospettiva delle elezioni parlamentari fissate per l’estate prossima. Da solo anche sul fronte economico. Perché è vero che le fonti di ricchezza del movimento sono articolate al punto che la stessa leadership non è in grado di definirle con chiarezza, però è altrettanto dimostrato che, negli ultimi anni, i bonifici Teheran-Beirut abbiano contato cifre a sette zeri (in dollari ovviamente) . Una storia che ha suscitato critiche aperte nella capitale iraniana. «Quei soldi sono nostri!» Hanno manifestato i cittadini di Teheran nel veder dirottare sul Libano potenziali investimenti interni a un paese stressato dalle sanzioni internazionali .

Per il Partito di Dio si tratta di scenari dalla realizzazione non immediata, ma prevedibili fin da ora. Leggendo le conversazioni Obama-Rohani, è immaginabile infatti che qualcuno a Beirut si stia domandando cosa accadrebbe alle milizie sciite se venissero tagliate o addirittura azzerate le forniture di Katiusha e delle relative varianti. Il Libano del Sud si troverebbe nuovamente scoperto di fronte all’esercito israeliano.

Del resto, gli spazi di manovra per l’Iran di Rohani sono davvero pochi. Se vuole tornare ad aver voce in sede internazionale ed eventualmente dire la propria sulla questione siriana, è facile che gli Usa gli chiedano di sacrificare le amicizie compromettenti. Quelle con i “cattivi”. Ossia con Assad, ma soprattutto con Hezbollah. Il che fa della guerra in Siria un vero e proprio garbuglio di contraddizioni. Per gli Stati Uniti è una questione di principio: con gli amici dei terroristi (o dei criminali di guerra) non si tratta. Di conseguenza, visto che Hezbollah e il presidente siriano apparten-gono rispettivamente alla prima e alla seconda categoria, l’Iran per salvarli dovrebbe sconfessarli. That’s the Middle East, my friend!

Ripercussione di tutto questo potrebbe essere l’inasprimento delle posizioni da parte degli sciiti libanesi. Traditi dal loro fratello maggiore e indeboliti, si sentirebbero costretti ad arroccarsi nel loro Libano del Sud, una sorta di Ridotta della Valtellina, da dove difendere l’onore di fronte al nemico che avanza. Israele o salafiti che siano.

Ipotesi? Fantageopolitica? L’idea di un divorzio tra Hezbollah e l’Iran è del tutto da escludere? Probabilmente sì.

Tuttavia, la provocazione vuole sottolineare quanto la Santa Alleanza sciita sia meno salda di quanto tutti abbiano sempre creduto. L’interesse strategico è comune. Come farebbe l’Iran ad affacciarsi sul Mediterraneo, se non ci fossero gli Hezbollah? Soprattutto in vista di una Siria ridimensionata come potenza regionale e declassata alla stregua di satellite di Mosca. Viceversa come farebbero le sacche di arretratezza dei quartieri periferici di Beirut, Bourj el-Barajneh in primis, a sperare in un futuro di benessere, senza le sovvenzioni iraniane? È altrettanto vero che la Shia fa la forza. A Teheran come nella Valle della Beka’a, Ali e suoi discendenti godono della stessa venerazione.

Ma la condivisione di fede e degli interessi utilitaristici non porta automaticamente all’uguaglianza identitaria. I persiani non accetteranno mai di essere messi sullo stesso piano degli arabi. Siano pur sciiti ed eroici miliziani di Hezbollah. L’Iran è la Persia. Legittima erede di una mai decaduta civiltà di scienze, arte e cultura. Una cinghia di trasmissione fra Mediterraneo e Asia. Hezbollah in tutto ciò non ha la benché minima voce in capitolo.

E se all’occidentale di turno queste argomentazioni di valore possono apparire di scarsa concretezza, si può ricorrere a esempi recenti di effettiva concorrenza economica tra quel Libano del Sud e l’Iran che, a prima vista, ci sembrano tanto inscindibili.

Del resto, c’è un elemento che sfugge ma che è sotto gli occhi di tutti. L’Iran è uno Stato sovrano. Hezbollah no

Antonio Picasso è un giornalista freelance.


×

Iscriviti alla newsletter