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Perché i tabaccai sono una lobby. E non c’è niente di male

L’ultimo numero de “La voce del tabaccaio”, magazine della FIT (Federazione Italiana Tabaccai) dalla tiratura non trascurabile di 48.000 copie settimanali, presenta un interessante articolo a firma del presidente Giovanni Risso sul tema delle sigarette elettroniche. Ma più che l’argomento in sé, ciò che interessa sono alcuni passaggi che da una parte aprono uno squarcio su una delle maggiori “guerre di lobby” in corso nel nostro paese e non solo, mentre dall’altra riaprono la discussione sul tema di cosa sia una lobby.

L’articolo in questione

Il Parlamento Europeo ha approvato la tanto discussa Direttiva sul Tabacco [inclusa] la norma che prevede che le sigarette elettroniche siano trattate al pari di quelle di tabacco […]. Questa decisione ci consente finalmente di dire la nostra senza essere tacciati di lobbismo […].
La FIT fa riferimento alla recente votazione dell’Assemblea del Parlamento UE che ha approvato la proposta di revisione della Direttiva Tabacco, in cui c’è anche una parte relativa alle sigarette elettroniche, che adesso dovrà passare attraverso il processo di codecisione. Curiosa però da parte della FIT la necessità di dover sottolineare come ora sia giunto il momento di parlare senza essere tacciati di lobbismo, che non risulta essere certo un crimine. Ma il meglio segue dopo.

[…] Noi non siamo lobbisti ma siamo un sindacato […] ed operiamo con la tutela dell’articolo 39 della nostra carta costituzionale. Possiamo parlare con chiunque senza nasconderci, perché tuteliamo oltre duecentomila famiglie.
La FIT dichiara: “non siamo lobbisti”. Premesso che ad essere lobbisti non c’è assolutamente nulla di male, va notato come la stessa FIT sia iscritta presso il Registro della trasparenza dell’Unione Europea nella categoria “Lobbisti interni e associazioni di categoria o professionali”. Aggiunge poi di essere “un sindacato […] con la tutela dell’articolo 39 della nostra carta costituzionale”. Quello stesso articolo 39 rimasto purtroppo in gran parte lettera morta, per non dire dell’impossibilità di rintracciare lo Statuto della FIT sul sito ufficiale dell’associazione anche per poterne valutare “l’ordinamento interno a base democratica”, previsto come requisito dal secondo comma dell’articolo 39. Corretto il riferimento alla tutela di 200.000 famiglie, ma certo ciò non rende l’attività di FIT più legittima rispetto a quella di un’associazione che ne rappresenta meno. Anche perché si rischierebbe di sfatare il concetto di associazione quale “anticorpo” alla “tirannia della maggioranza”, espresso da Toqueville ne “La democrazia in America”.

Arriva poi nell’articolo l’attacco nei confronti del “nemico”

“Lo stesso non si può dire per società di consulenza o associazioni, neanche mai costituite, che esercitano pressioni d’ogni sorta o accedono indisturbate alla soglia delle aule delle Commissioni Parlamentari, senza alcun controllo. Come mai?”

Intanto diamo nome e cognome ai soggetti cui – secondo quanto risulta a Formiche.net – fa riferimento la FIT. Si tratta della società di consulenza di public affairs Open Gate Italia,tra le più importanti in Italia, e di ANaFE (Associazione Nazionale Fumo Elettronico), associazione di riferimento del settore della sigaretta elettronica, peraltro da poco aderente al sistema Confindustria.

Nelle parole di Risso si rintraccia la frattura sul concetto di lobby che troppo spesso pervade, in maniera in genere ipocrita, il dibattito italiano sul tema. Come può infatti un’associazione sindacale accusare altri di fare lobbying, quando essa stessa porta avanti una più che legittima attività di lobbying? Perché di questo si tratta quando sul suo stesso sito riporta di seguire “con attenzione l’attività dei due rami del parlamento e del governo, del ministero delle Comunicazioni, dell’Economia e Finanze, delle Attività Produttive e la direzione dei Monopoli di Stato”, offrendo ai propri associati “servizi di consulenza e di tutela in riferimento a tutte le materie inerenti la loro attività professionale”.

Lobby: Bruxelles, Washington e Roma

In Italia una normativa sul lobbying non esiste, nonostante le oltre 50 proposte di legge (e un ddl governativo) presentate in 35 anni, e anche gli ultimi tentativi portati avanti dal Governo Letta sono miseramente falliti. E allora per definire il termine lobbying non ci resta che agganciarci alle normative più vicine.

In Europa il riferimento è il Registro della Trasparenza pur con tutti i suoi limiti – che include “tutte le organizzazioni e i lavoratori autonomi impegnati” in una trasparente ed etica interazione con le istituzioni UE. Per la cronaca, oltre alla FIT anche la società di consulenza Open Gate Italia risulta registrata.

Per una definizione specifica di chi sia un lobbista, è possibile rifarsi agli USA, dove la prima regolamentazione complessiva dell’attività di lobbying risale al 1946, e in cui l’attuale norma – il Lobbying Disclosure Act del 1995 – oltre a illustrare chiaramente cosa sia una “lobbying firm”, definisce lobbista “l’individuo impiegato o pagato da un cliente per servizi che includano più di un contatto di lobbying” inteso come “ogni comunicazione scritta orale o per via elettronica indirizzata ad una branca dell’Esecutivo o del Legislativo mirata alla formulazione, modificazione o adozione di legislazione […]”. In sintesi l’attività di rappresentanza istituzionale portata avanti da un sindacato come da una società di consulenza.

Le lobbies per il Ministero delle Politiche agricole

Se invece si vuol rimanere in Italia è bene volgere lo sguardo verso il MIPAAF, che con il DM 9 febbraio 2012, n. 2284, ha istituito l’Unità per la Trasparenza “al fine di garantire la trasparenza dei processi decisionali di competenza dell’Amministrazione e di gestire l’attività di interazione tra il Ministero e il mondo delle lobbies”, la cui attività di rappresentanza sul sito è definita come “ogni attività svolta da persone, organizzazioni, associazioni, enti, imprese o società attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta, anche trasmessa per via telematica, intesa a perseguire interessi leciti di rilevanza non generale nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali”. Parole che inquadrano perfettamente il lobbying, che riecheggiano proprio la normativa USA, e che inevitabilmente vedono ricadere nel proprio ambito le attività di un “sindacato” come la FIT, ANaFE o  una società di lobbying come Open Gate Italia, quest’ultima peraltro registrata anche presso il MIPAAF occupandosi evidentemente di temi legati all’agricoltura.

Lobbying e Costituzione

Ma è necessario rispondere alla domanda posta dall’articolo del presidente della FIT Giovanni Risso su “come mai” società di consulenza o associazioni accedano indisturbate alla soglia delle aule delle Commissioni Parlamentari, senza alcun controllo. Premettiamo – frequentando spesso i palazzi di Camera e Senato – di nutrire dubbi sul “senza alcun controllo”, viste le restrittive norme sull’accesso che prevedono l’avere un tesserino (sul cui rilascio purtroppo non esistono criteri univoci), l’essere invitati da un parlamentare o convocati per un’audizione ai sensi dei regolamenti parlamentari.

Sul “come mai”certi soggetti possano “esercitare pressioni di ogni sorta” (addirittura!) invece – pur in assenza di un quadro legislativo complessivo – viene in soccorso proprio la Costituzione italiana richiamata nell’articolo della FIT. E qui non possiamo non citare il libro “Democrazie sotto pressione. Parlamenti e lobby nel diritto pubblico comparato” del prof. Pier Luigi Petrillo della LUISS, che da anni studia il tema. Petrillo fa risalire la legittimità dell’attività di lobbying agli articoli 2 (riconoscimento formazioni sociali); 3 e 49 (diritto di partecipazione), 18 (libertà di associazione); 21 (libertà di manifestazione del pensiero); l’articolo 50 “che fonda una sorta di right to petition, un diritto di influenzare il decisore pubblico, almeno quello parlamentare”, l’art. 71 sull’iniziativa legislativa, ecc. E ricorda poi come sia stata la stessa Corte Costituzionale con due sentenze del 1974, la n.1 e la n.290 ad aver riconosciuto la legittima attività di influenza svolta nei confronti degli organi costituzionali.

Un quadro normativo che chiarisce in modo esplicito che a Bruxelles, come a Washington e Roma, associazioni di rappresentanza – o sindacati come la FIT – e società di consulenza pari sono se esercitano attività di lobbying, considerata anzi da più parti elemento integrante del processo democratico. Ed è quindi chiaro che, a differenza di quanto scritto nella propria rivista, la FIT è una lobby. Ma non deve preoccuparsene, visto che non c’è niente di male.

PS: Ieri di fronte al MEF c’era uno striscione con scritto “No alle lobby”. Firmato dal sindacato Uil…



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