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Perché l’azione della Bce sulle banche non mi convince. Parla il prof. Ferri

Che succede alle banche? Come si sta comportando la Bce? E che direzione sta prendendo l’Unione bancaria europea? A queste, e ad altre domande, risponde in una conversazione con Formiche.net il professor Giovanni Ferri, da novembre 2012 ordinario di economia politica nel Dipartimento di Scienze economiche, politiche e delle lingue moderne alla Libera Università di Maria Santissima Assunta (Lumsa).

Ferri è un osservatore privilegiato di questioni banco-monetarie: è stato infatti, tra l’altro, alla World Bank (come Principal Financial Economist dal 1998 al ’99) e al Servizio Studi della Banca d’Italia dal 1984 al 1998 (fino al grado di condirettore) ed è stato membro del Banking Stakeholder Group presso la European Banking Authority (Eba).

Professore, come valuta il documento della Bce? Buono, sufficiente o insufficiente?

Le intenzioni erano buone, ma l’esecuzione non è stata all’altezza di una grande orchestra.

Perché?

Leggendo il documento si ha l’impressione di una certa superficialità. Certo, si tratta solo di un’impressione perché vi è da ritenere che alla Bce e nelle Banche Centrali Nazionali vi sia adeguata consapevolezza della serietà del passaggio in corso. Però, la gravità della situazione europea non consente più di suonare solo “tecnici”.

Non capisco, si spieghi meglio.

Evidentemente l’Asset Evaluation, gli stessi stress test, necessiteranno di ipotesi sugli andamenti macroeconomici, della definizione di criteri comuni per la valutazione delle sofferenze ecc.. Ebbene non mi pare che i documenti resi pubblici facciano fare passi in avanti sufficienti al riguardo. E, allora, non è chiaro se debba prevalere il giudizio positivo – dato che la conferma della tempistica è di per sé importante e questa c’è stata – oppure quello negativo – da associare al persistere degli elementi di mancato chiarimento che ho accennato.

Perché ieri i titoli bancari hanno sofferto dopo la comunicazione di Draghi?

Credo che il nervosismo del mercato abbia dato il peggio di sé. In effetti, i prezzi delle 13 banche che hanno azioni quotate (tra le 15 banche italiane incluse nell’esercizio Bce: Carige, MPS, Credito Valtellinese, Popolare Emilia-Romagna, Popolare Milano, Popolare Sondrio, Banco Popolare, Credito Emiliano, Banca Intesa, Mediobanca, UniCredit, UBI; mentre Veneto Banca, Popolare Vicenza e Iccrea non sono quotate) hanno subito un ripiegamento forte. Facendo la media semplice delle variazioni dei 13 istituti tra la chiusura del 22 e quella del 23 scorsi l’arretramento è stato del 4,2%. Si tratta di una caduta molto più forte di quanto sperimentato al contempo dalle altre sei banche italiane quotate (Banca Ifis, Banco di Desio, Banca Profilo, Banca Generali, Banca Intermobiliare e Banca Finnat) per le quali in media la caduta si è attestata all’1,9%.

Quindi l’annuncio della Bce ha preoccupato gli analisti sullo stato delle banche? E perché?

Siccome queste banche del secondo gruppo, data la loro più piccola dimensione, non afferiranno alla Vigilanza europea, quella caduta più che doppia del primo gruppo potrebbe essere interpretata come in qualche modo legata al comunicato della Bce. Però, va notato che nella giornata di ieri si è avuta una ripresa dei corsi di modo che l’effetto cumulato fino alla chiusura del 24, rispetto alla chiusura del 22 (cioè prima del comunicato della Bce), si è ridimensionato a una caduta dell’1,9% per il primo gruppo, poco superiore alla caduta cumulata dell’1% nel frattempo maturata dal secondo gruppo (le 6 banche quotate che non afferiranno alla vigilanza di Francoforte). Perciò, il nervosismo del mercato è in gran parte rientrato.

Condivide l’opinione del suo collega Donato Masciandaro che sul Sole 24 Ore di ieri è stato molto critico con la politica degli annunci (compreso quello di ieri) della Bce?

Credo che, data la gravità della situazione, le autorità che manovrano il passaggio verso la vigilanza accentrata non possano permettersi di apparire solo dei “notai”. Dovrebbero essere in grado di esprimere indicazioni assumendosi delle responsabilità “politiche” al fine di tranquillizzare i mercati. Non dovrà e non potrà trattarsi di garanzie “erga omnes”, ma mi piacerebbe vedere che la Bce facesse oggi per la vigilanza l’equivalente scatto che Mario Draghi le seppe imprimere in termini di politiche di intervento per salvare l’euro quando, a luglio 2012, recitò con grande saggezza alla City di Londra il famoso discorso “We will do whatever needed to save the euro. And, believe me, it will be enough”.

Quindi che cosa dovrebbe fare ora Draghi?

Mutatis mutandis, oggi ci serve qualcosa del genere. Ciò non significa che nessuna banca in dissesto sarà chiusa. Certo alcune saranno chiuse, però nessuna banca dovrebbe essere chiusa se si tratta di istituzione ben gestita e che versa in difficoltà solo in seguito alla crisi sistemica europea, un evento che sfugge del tutto al controllo del management di quella banca. Insomma, per tornare all’amico Masciandaro, condivido la sua critica, ma aggiungo che oltre alla comunicazione serve maggiore chiarezza sugli intenti e una più decisa presa di redini e responsabilità da parte della Bce, che non deve mostrarsi eccessivamente timida neanche con le Banche centrali Nazionali.

E’ scettico o ottimista sull’Unione bancaria?

Né scettico, né ottimista, direi realista. Si tratta di un passaggio ormai indispensabile. Quello che abbiamo visto dal 2010 in poi ha disamorato molti di noi nei confronti della costruzione europea. Gli errori compiuti nella gestione della crisi greca, e di quelle che ne sono poi gemmate per contagio, sono così eclatanti e goffi che richiederanno molta indulgenza da parte di chi ne scriverà la storia. Però non possiamo rimettere indietro l’orologio. Oggi siamo qui ed è chiaro che senza il completamento dell’Unione Bancaria sarebbero dolori soprattutto per gli euro-deboli.

Pensa che il percorso dell’Unione bancaria soddisfi più le attese della Germania?

Per quanto ne capisco, le remore della Germania, a un certo punto tiepida nei confronti dell’Unione Bancaria, erano soprattutto legate alle constituency locali e regionali. Il fatto che solo le principali 24 banche tedesche (su un totale di oltre 4.000) saranno nella vigilanza accentrata dovrebbe aver dissipato quelle preoccupazioni.


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