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Proprietà più Libertà, uguale a Sviluppo: il Rapporto IPRI 2013

Avrebbe meritato maggiore attenzione mediatica la recente pubblicazione del Rapporto International Property Rights Index (IPRI), coordinato dalla Property Rights Alliance (un’organizzazione costola della Americans for Tax reforms, creatura fondata e diretta da Grover Norqvist, recentemente in Italia e intervistato quest’estate da Formiche). Il Rapporto misura quei fattori idonei a influenzare le tre componenti del sistema dei diritti di proprietà: l’ambiente politico e legale, i diritti di proprietà fisica e la tutela della proprietà intellettuale. Per quanto riguarda il primo indicatore, che valuta tra gli altri il livello della stabilità politica, il grado di corruzione e la compliance generale (e sarebbe curioso capire quali parametri sono stati utilizzati!), l’Italia ottiene la posizione numero 51 con un punteggio pari a 5.6, un risultato deludente rispetto ad altri Paesi del G7 come Germania (15°), Gran Bretagna (17°) e USA (23°). Il secondo indicatore, che misura lo stato della regolamentazione dei diritti di proprietà fisica, segnala l’Italia al 64° posto, dietro a Germania (25°), Gran Bretagna (20°) e USA (22°). L’ultimo è quello dedicato alla proprietà intellettuale, che vede l’Italia al 31° posto, nuovamente alla rincorsa dei tre sopradetti paesi.

Sintesi di questi risultati, chiaramente espressa dal Dott. Lorenzo Montanari, direttore esecutivo dell’organizzazione,  è la volontà di dimostrare una relazione diretta tra il grado di tutela della proprietà ed il tasso di sviluppo: i paesi con un regime di diritti di proprietà più efficace crescerebbero più rapidamente e sarebbero più competitivi (Finlandia e i paesi del Nord Europa in testa, Svizzera, Singapore e i paesi di origine anglosassone). Questa relazione è verificata nel rapporto IPRI attraverso tre principali indicatori economici (Reddito Pro Capite, Prodotto Interno Lordo ed Investimenti Diretti Esteri ricevuti), e si rivela positiva in tutti e tre i casi. Senza entrare nel merito dell’analisi dei dati – riconoscere i limiti delle proprie competenze è quanto più opportuno… – devo però evidenziare che la lettura dei risultati mi ha riportato alle bellissime tesi di Richard Pipes in “Proprietà e Libertà”, splendidamente recensito dal Professor Francesco Perfetti qualche anno fa. Partendo da una premessa di schiacciante efficacia su libertà ed eguaglianza, espressa due secoli fa dal costituzionalista inglese Walter Bagehot (“Non esiste alcun metodo grazie al qual gli uomini possano essere sia liberi sia uguali”), va riconosciuto che l’ideologia del progressismo e dell’egualitarismo pervadono la cultura attuale, così attentando alla libertà individuale e svilendo il diritto di proprietà.

Ebbene Pipes, da profondo conoscitore della storia russa e del regime comunista ha constatato che uno dei tratti distintivi del regime rispetto ad altri sistemi politici era lo scarsissimo sviluppo (ad essere eufemistici…) all’interno dello stesso del concetto di proprietà! Da qui lo storico Pipes conclude che la proprietà costituisce “la chiave di comprensione” dell’origine di tutte le istituzioni politiche e giuridiche che garantiscono la libertà. “L’esperienza totalitaria – scrive Pipes – conferma che, come la libertà esige la tutela dei diritti di proprietà, così la lotta per instaurare un illimitato potere personale sui cittadini esige la distruzione del loro dominio sulle cose poiché questo consente loro di sottrarsi al controllo onnipervasivo dello Stato”.
Non a caso, il Rapporto 2013 ci dimostra come la mancanza di un adeguato sistema di diritti di proprietà possa essere anche una delle ragioni ispiratrici di movimenti politici come quella della Primavera Araba in Tunisia. Questo Rapporto pertanto contribuisce a soffermarsi sull’importanza di una relazione – quella tra diritti di proprietà e sviluppo economico – che dà la cifra di un sistema economico equo e trasparente, e che rappresenta la radice di ogni economia di libero mercato.

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