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Quel che resta di Telecom Italia: la minaccia iberica e la scelta di Enrico Letta

E’ ormai chiaro a tutti che sotto la cenere lasciata dal presidente Franco Bernabè con le sue dimissioni, in Telecom Italia arde la brace degli investitori, incendiati come sono da un titolo declassato a spazzatura ma che nonostante questo, riesce a stupire con un trend positivo Piazza Affari.

Si affastellano notizie giornalistiche un giorno dopo l’altro. Alcuni danno l’interim di Marco Patuano come capace di traghettare il nostro operatore nazionale verso lidi piu’ sereni. Si parla di un piano industriale concordato con gli spagnoli di Telefonica e che come unico punto fermo fino a questo momento, ha la sospensione dello scorporo della rete.

Sotto altri versanti la politica si attacca ad ogni possibile appiglio per cercare di dimostrare un certo interesse all’infrastruttura strategica, per non abbandonarla definitivamente in mani straniere. Dunque da un lato si progettano orpelli normativi volti a modificare le condizioni giuridiche per ottenere un’OPA obbligatoria in caso di scalata, ovviamente a condizioni peggiorative rispetto a quelle precedenti la minaccia iberica. E dall’altro lato c’è una fuga in avanti di improbabili decisori che si affacciano sulla scena. L’ultimo di essi, il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha voluto esternare un suo forte interessamento a che si proceda ad uno scorporo, mostrando così l’osso senza carne ad un pubblico affamato.

Piu’ in alto c’è il Premier Enrico Letta, conscio e formalmente impegnato a recuperare il grave ritardo dell’Italia sul digitale e talmente ricco di buone intenzioni da dichiarare apertamente di voler colmare il gap che ci lascia indietro rispetto agli altri Paesi europei. Perchè sta diventando una situazione imbarazzante quella dell’Italia dove quasi metà della popolazione è in digital divide.

Sicuri segni ci dicono che da Bruxelles si sta studiando un piano per non lasciare soli quelli che come noi sono rimasti indietro. La commissaria Neelie Kroes è forse quella che meglio ha capito cosa fare e come farlo. Ci da anche i tempi: subito. E non manca di strigliare la platea del piu’ importante evento di settore, quello organizzato da Confindustria Digitale a Roma, dove va in scena la fiera delle buone intenzioni.

Ci pensa Francesco Caio, il nostro digital champion, incaricato dalla Presidenza del Consiglio di portare avanti l’agenda digitale. Fatture elettroniche, cartella sanitaria ed identità digitale sono gli ingredienti di un obiettivo minimale che si potrà raggiungere nel 2015 se tutto va bene. Lo dicono tutti del resto che qualcosa si deve fare. Il vice ministro Antonio Catricalà arriva a puntare il dito contro i nemici del digitale a cominciare dai dirigenti che stampano le email. Insomma: tante parole, tante buone intenzioni lastricano le vie dell’inferno. Il presidente di Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini si impegna e ci riesce davvero a provocare chiedendo al Governo tre esperti che possano mappare l’infrastruttura attuale ed i piani di sviluppo delle aziende per capire dove CDP può andare ad investire. Esperienze pregresse dimostrano che il miglior modo per non fare una cosa è affidarla a un tavolo tecnico che non decide assolutamente nulla. I presupposti perchè nulla accada, a questo punto, ci sono tutti.

Perfino un onorevole esperto di internet come Vincenzo Vita reclama l’assenza dolosa dell’Italia dall’Internet Governance Forum che si sta tenendo in questi giorni a Bali. É come se fosse partita una forsennata ricerca d’acqua per spegnere un incendio divampato in più’ aree e che è ormai fuori controllo.

L’autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, orfana di uno dei commissari piu’ preparati, deve intanto fare un mea culpa per aver sprecato la piu’ grande opportunità dal 2006 ad oggi: quella di procedere ad uno scorporo volontario della rete dell’ex monopolista. Ci sono treni che non ripassano e qualcuno è rimasto troppo tempo in attesa sotto il tabellone degli orari. Ed è stato perso quasi sicuramente questo treno quando l’AGCOM ha avuto voglia di fare una preindagine irrituale sulle condizioni per arrivare allo spinoff della rete di Telecom Italia.

Siamo tutti pubblico pagante di un cinema senza sonoro, dove scorre un film. Rimaniamo seduti a vedere scorrere le immagini di quello che fanno gli altri e che noi non possiamo fare. C’è un pubblico di disinteressati al problema che in fondo, per ora, sono meno pericolosi di quelli che dimostrano un interessamento ma che riescono solo a fare danni. Quei danni saranno a carico delle prossime generazioni ma anche a carico di quella presente, sia chiaro.

Meno Internet significa meno posti di lavoro, meno economia, meno risparmi per i servizi della Pubblica Amministrazione, meno efficienza, e maggiori costi. Una litania ripetuta ossessivamente da tutti noi dell’Osservatorio della rete, rimasti in attesa del piccolo miracolo laico: che qualcuno che lo sa fare traendone profitto investa in fibra ottica e che si dia finalmente corso in Italia ad una moderna democrazia elettronica.
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