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Chi sono gli yankee affascinati da Renzi

Matteo Renzi non infiamma solo il popolo della Leopolda ma anche impensabili sponde atlantiche. C’è da scommettere che tra non molto i giornali italiani si cimenteranno ad esempio nel solito giochino di fanta-finanza: quale banchiere sta con Renzi? Farà nuovamente capolino l’idea che Renzi sia sostenuto dai finanzieri di Morgan Stanley, la banca in cui si è fatto le ossa il renziano Davide Serra e che di recente ha chiamato nel proprio advisory board il fiorentinissimo e renzianissimo Lorenzo Bini Smaghi. Un affresco suggestivo, specie se si considera che altre banche sono meno sbilanciate. Il fronte degli amerikani pro-Renzi non si limita infatti ai banchieri della City, ma può vantare figure molto più esotiche.

I neocon di Renzi

Il sindaco di Firenze si avvale infatti da tempo dei consigli di un grande vecchio di era reaganiana, il super-falco Michael Ledeen. Ledeen ha attraversato un ampio tratto della storia della prima repubblica sotto le spoglie formali di funzionario del dipartimento di Stato e quelle reali di mente delle barbe finte americane in un periodo particolarmente “caldo” della Guerra Fredda. La ricomparsa a Firenze di Ledeen ha indignato chi, tra i socialisti, associa la fine di Craxi a manine americane. A Ledeen gli specialisti della dietrologia – in Italia, si sa, non sono pochi – affiancano poi il nome del toscano Licio Gelli, manovriero deus ex machina della loggia P2 ancora al centro delle cronache, come testimoniato dal recente maxi-accertamento fiscale a suo carico. Sta di fatto che anche senza tirare in ballo Gelli, Renzi pare appoggiato da un blocco conservatore americano, quantomeno insolito per chi aspira a guidare proprio il PD. Ledeen incarna infatti il pensiero neocon più intransigente e restìo ad accordi con l’Iran. Un aspetto non trascurabile, considerata la rilevanza che l’Italia riveste da sempre nelle questioni mediorientali e che potrebbe essere accentuata dall’apparente rimescolamento dei tradizionali equilibri tra il blocco sciita e la triade Usa-Israele-Arabia Saudita.

I pellegrinaggi negli States

Chissà se con questi temi Matteo Renzi avrà iniziato a familiarizzare già nel 2007, quando, ancora giovane presidente della provincia di Firenze svolse un tour con il dipartimento di Stato negli States (pag. 10 di 52: http://www.state.gov/documents/organization/191516.pdf). Chi ha dimestichezza con questo tipo di viaggi (gli “alumni” sono riuniti nella politicamente trasversale lobby romana Amerigo) non manca di osservare che nel caso di Renzi si trattava di un programma “volontario”. Un programma, cioè, non su invito e dunque a carico del Dipartimento di Stato. Le perplessità sulla carta di credito che ha sostenuto i costi –salati – del viaggio di Renzi è finora stato sollevato solo dal Fatto: perché Renzi ha accollato le spese alla Provincia fiorentina – cioè ai contribuenti – di cui era presidente? Un interrogativo, questo, su cui anche la Corte dei Conti ha acceso un faro.

La kippah di Renzi

A strizzare l’occhio a Tel Aviv pensa il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, ma anche il cardinal Mazzarino di Firenze, quel Marco Carrai che fa la spola tra Firenze e Israele, dove si occupa di venture capital e nuove tecnologie. Una passione, quest’ultima, in cui va a braccetto nel fondo Wadi ventures con il figlio di Franco Bernabè, tradizionale atlantista al centro di molti incroci tra Roma, Washington, New York e Israele, e fino a poco tempo fa arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano l’Italia a Israele.

Gli altri americani

Renzi deve aver capito che al centro dello scacchiere politico la vita per lui si è fatta più dura. La colpa è di Enrico Letta, che gode di un consenso trasversale. Ecco perché Renzi, più popolare tra le fila del Pd, ha cominciato a flirtare con quelli di Sel e a riecheggiare con toni appena diversi gli attacchi dei grillini al Quirinale, garante delle larghe intese e protettore di Letta. La convergenza con i pentastellati crea così una insolita comunanza di interessi con gli ambienti americani che vedono di buon occhio Grillo, Casaleggio e il M5S. Si tratta dello stesso Dipartimento di Stato, di cui Maurizio Molinari de La Stampa ha intercettato i giudizi favorevoli rivolti a Grillo, ma anche del sulfureo finanziere-filantropo George Soros. Come ha maliziosamente suggerito Luigi Bisignani nel suo libro “L’uomo che sussurra ai potenti”, può benissimo darsi che l’appoggio ai grillini sia l’equivalente in salsa tricolore delle “rivoluzioni colorate” finanziate in anni recenti da Soros (Georgia, Ucraina…) ma con lo scopo di destabilizzare l’eurozona minando il terzo debito pubblico mondiale: quello Italiano.

Anche se gli interessi dietro l’aiuto a Renzi sono diversi, insomma, non sembra che la cosa costituisca un problema: tutti gli amerikani portano a Renzi. E chissà se nei suoi recenti viaggi a New York e alla Casa Bianca Enrico Letta non si sia un po’ lamentato della cosa.

Dopotutto non si può certo dire che Letta e Napolitano siano sordi alle indicazioni che arrivano dall’altra parte dell’Oceano!


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