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Una riflessione sul diritto d’asilo

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

La tragedia di Lampedusa, consumatasi poco prima che il Segretario generale aprisse a New York la Conferenza delle Nazioni Unite su migrazione e sviluppo, pone nuovamente al centro del dibattito la complessa gestione dei flussi migratori via mare. Questa è resa ancora più difficile dalla presenza di flussi misti, di migranti per motivi di asilo e per motivi economici. Ancora una volta l’Europa è invocata sia come grande assente nei momenti di emergenza, sia come causa delle pressioni migratorie alle quali l’Italia deve far fronte, in quanto Paese di frontiera esterna. Ma è proprio così? La nuova ondata di sbarchi sulle coste siciliane rimette al centro del dibattito il diritto d’asilo. Si ripropone quindi la questione della normativa che lo regola a livello italiano ed europeo e degli strumenti con cui l’Unione può aiutare i Paesi membri sottoposti a forti pressioni migratorie alle frontiere.

La presenza di flussi migratori misti, con la contemporanea presenza di richiedenti asilo e di migranti per motivi economici rende spesso problematico il riconoscimento del diritto di asilo. Anche sul piano concettuale si registra una tensione tra le migrazioni così dette forzate e i presupposti della protezione internazionale.

Condizioni di povertà estreme e cambiamenti climatici possono rendere obbligata anche la scelta della migrazione economica, così che lo Stato di approdo diventa, di fatto, uno Stato di rifugio. Tuttavia il diritto di asilo non può essere utilizzato per dare risposte a problemi di carattere strutturale, a crisi di tipo economico, sociale, ambientale.

Deve essere ancorato ad una nozione che vede nel pericolo subito da una singola persona il presupposto essenziale, mentre le crisi strutturali devono essere affrontate con adeguati strumenti, prima di tutto con massicci investimenti di cooperazione allo sviluppo.

Costituzione e Convenzione di Ginevra 
In Italia l’obbligo dell’accoglienza dei richiedenti asilo deriva dalla stessa Costituzione, art. 10, 3° comma, e dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. Quest’ultima stabilisce una nozione più ristretta rispetto a quella della Costituzione, ma è divenuta la pietra angolare del diritto di asilo a livello planetario, grazie anche al ruolo di “guardiano” svolto dall’Alto Commissariato per i rifugiati (Unhcr).

Ai sensi dell’art. 1 è rifugiato chi fugge dal proprio Stato per timore di subire una persecuzione per uno dei motivi tassativamente elencati. Negli anni la nozione è stata interpretata estensivamente in modo da tutelare, ad esempio, donne perseguitate a causa del loro sesso e persone a rischio di condanne penali a causa del proprio orientamento sessuale.

Più di recente anche l’Unione europea, Ue, si è dotata di un proprio sistema di asilo, completato nel giugno 2013 e basato sulla nozione di protezione internazionale, articolata nelle tre forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione temporanea, volte a consentire a chiunque di vedersi riconosciuto lo status appropriato alla propria situazione.

Leggi l’articolo completo su Affari Internazionali 

Chiara Favilli è professore associato di Diritto dell’Unione europea, LUMSA. 


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