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Sul ricambio generazionale nei posti chiave della pubblica amministrazione

Non è nuovo il tema del ricambio generazionale nei posti chiave della pubblica amministrazione, nella dirigenza delle aziende, nelle organizzazioni complesse, nei grandi media, nella politica.

Il settore delle telecomunicazioni è particolarmente affetto da una gerontocrazia malata che cerca nel balletto di incarichi, una legittimazione a continuare a paralizzare il nostro Paese.

Dunque se un dirigente ha polverizzato per anni soldi pubblici in un’azienda partecipata dallo Stato, in un organismo pubblico, in un’impresa di rilevanza nazionale, allora si cerca di muoverlo in un’altra posizione, come se le sue incompetenze potessero diventare capacità virtuose se esplicate altrove.

Per quei manager blasonati, universalmente riconosciuti come se fossero eroici salvatori della Patria, ci sono sempre poltrone vuote pronte ad accoglierli.

Non mi è chiaro perché alla guida di un operatore telefonico debba andare un manager in palese conflitto di interessi visto che nei dieci anni precedenti ha guidato un gruppo con all’interno un concorrente diretto.

Né mi è chiaro perché in un’autorità indipendente debba andare a coprire l’incarico di commissario un professore che magari non pubblica da oltre due lustri su materie di cui dovrà andare ad occuparsi ma che ha solidi contatti con la politica.

E così via anche in radio: perché si deve affidare una rubrica quotidiana a un anziano giornalista che nella TV pubblica ha vivacchiato per anni con risultati non molto brillanti?

Sono domande, queste, a cui nessuno vuole dare una risposta. Perché è difficile dire che in certe posizioni si va per essere pedine di un gruppo di interessi da difendere. E non sono certo interessi pubblici. Nemmeno interessi collettivi riferibili a una comunità determinata di persone. Sono interessi soggettivi precisi e puntuali che a volte si cerca di rappresentare con troppe teste di legno nei ruoli di maggior rilievo.

Ecco spiegato perché non si determinano e non si determineranno mai le condizioni per quel ricambio generazionale da molti invocato: perché da cinquanta anni – per non dire genericamente ‘da sempre’ – assistiamo a questo scempio di competenze e non ci opponiamo con forza per fermarlo.


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