Da domani l’Italia tornerà a pattugliare il Mediterraneo. Ecco, avremmo preferito “presidiare” anziché “pattugliare”. Perché ci avrebbe fatto pensare all’Italia del cinque e seicento, quella che seppe essere faro del Mediterraneo. Di legno e di bilancia, diremmo. Fu in quegli anni, infatti, che quelli di Livorno, Genova, Napoli, Venezia erano i porti in cui transitava la maggior parte delle merci del Mediterraneo. Non solo, furono le sedi di altrettante Magistrature in cui furono elaborate leggi e procedure a farne un completo ordinamento per regolare l’attracco, la gestione delle merci in ingresso, lo sdoganamento, la gestione dei passeggeri. La gestione delle emergenze sanitarie. E quelli erano i tempi della peste e delle epidemie.
Erano anni in cui Inglesi e Olandesi, che erano secondi all’Italia in termini di vascelli e lupi di mare, trovavano estenuante l’applicazione pignola e puntigliosa degli ordinamenti nei nostri porti. E se ne lamentavano.
Avremmo preferito dunque “presidiare” al posto di “pattugliare” perché se è vero che, pattugliando, si possono intercettare i migranti, prima, e quindi di salvare vite umane, l’idea di tornare a presidiare avrebbe significato un impegno e una responsabilità oltre il salvataggio. L’intento, autorevole, di proporre soluzioni organizzative e di concorrere all’elaborazione di una giurisprudenza dalla pratica ed efficace applicazione, senza ambiguità, senza che l’attività legislativa, intesa come la traduzione in penna e calamaio della migliore sintesi delle più frequenti situazioni che si possono verificare, sia ridotta a contesa di quartiere.
Bisogna tornare a essere degli Amerigo Vespucci più che dei Cristoforo Colombo. Il primo fu primo e basta. Il secondo ebbe dalla sua la consapevolezza.
Che l’Italia sia per il continente dimenticato il Monte Fuji de “la grande onda” di Hokusai.
Un’Italia più di Vespucci che di Colombo
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