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Verità e amnesie su Forza Alitalia di Berlusconi

Alitalia è ancora una volta sugli scudi: perdite per centinaia di milioni e pochi soldi in cassa, così scarsi da dover ricorrere al credito dell’Eni per fare il pieno ai propri aerei. Basteranno ancora per pochi giorni, poi tutti a terra e si aprirà un ennesimo nuovo capitolo.

Al momento, la situazione sembra molto confusa, con fantasiose soluzioni di merger tra partecipate pubbliche, ipotesi di interventi poi smentiti della Cdp, interessi di altre compagnie extra europee, aumenti di capitale da parte degli attuali azionisti, in particolare Air France Klm.

Vedremo come andrà finire, con l’auspicio che almeno questa volta, la politica ed il governo italiano facciano tutto quello che possono per il buon fine della vicenda, ovvero ne stiano semplicemente fuori. Speriamo che anche i sindacati abbiano imparato la lezione dalla precedente tragicomica transazione del 2008 e si comportino di conseguenza, evitando cioè di sollevare barricate costruite però con i mobili dei lavoratori.

Gli errori del passato

A proposito di Air France Klm e di come a suo tempo siano stati commessi molti errori che hanno portato la compagnia di bandiera ad essere ceduta per un tozzo di pane –  a spese dei contribuenti  – ad una cordata italiana di imprenditori e banche guidata da Airone, capita di leggere da più parti ricostruzioni dei fatti che viziano, almeno in parte, la realtà storica, imputandone la responsabilità, guarda caso, al solo Silvio Berlusconi.

La realtà diversa dalle idee

Ma a ben guardare i fatti, la realtà è ben diversa. Se proprio di colpe dobbiamo parlare, per onestà intellettuale queste dovrebbe essere quantomeno suddivise tra i vari attori,- Air France su tutti – lasciando al Cavaliere il solo peccato essersi adoperato in prima persona per favorire la costituzione di quel consorzio, sostenendo (opinione personalissima di chi scrive) una inutile quanto obsoleta idea che avrebbe meglio tutelato l’identità nazionale della compagnia aerea e di aver poi utilizzato tale vicenda ai fini di promuovere la sua campagna elettorale. Promozione personale e comunicazione: viene da dire che in questo genere di attività è stato talmente bravo da pagarne oggi le conseguenze nella memoria collettiva di quella vicenda.

Le molte e molteplici colpe

Nel merito, trascendendo le più antiche questioni sull’allegra gestione storica della compagnia, basta guardare ai fatti con occhi non viziati da pregiudizi personali o di convenienza politica, per rendersi conto che, dopo la decisione del dicembre 2007 presa all’unanimità dal Cda Alitalia, di avviare la trattativa in esclusiva con Air France-Klm per la vendita della quota del 49,9% allora detenuta dal Tesoro, la faccenda è stata gestita con il concorso di colpa dei molti soggetti coinvolti e condizionata peraltro anche da fattori esterni.

I sostenitori di Air France

Tra i sostenitori dell’acquisizione da parte della compagnia transalpina, spiccavano l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, sostenuto dal suo ministro dell’economia Padoa Schioppa. Più ambigua la posizione del ministro per lo sviluppo economico Bersani che, rispondendo ad un comunicato diffuso da AirOne subito dopo la delibera del Cda Alitalia (con il quale la compagnia italiana chiedeva di poter comunque presentare un proprio piano direttamente al governo per un esame approfondito dei suoi aspetti industriali, finanziari e delle sue implicazioni nel Sistema Paese) manifestava una certa inclinazione per la soluzione italiana, pur non ritenendola pregiudiziale.

I sostenitori dell’italianità

All’opposto, tra i più convinti sostenitori della via AirOne, spiccavano oltre al leader dell’opposizione, il citato Silvio Berlusconi, il vice premier Rutelli, l’allora Amministratore Delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, infine il Presidente di Confindustria Luca Montezemolo. Alla fine, il governo Prodi si riservò di decidere. In sintesi, parecchie opinioni e visioni divergenti, sostanzialmente molta confusione negli intenti.

I piani dei francesi

Senza voler scendere nei dettagli della proposta d’acquisto formulata da Air France, che prevedevano tra l’altro investimenti per diversi miliardi di euro nel lungo termine, il progressivo rinnovo della flotta e presunte sinergie operative, giova ricordare che il prosieguo della trattativa, era ovviamente subordinato alla preventiva approvazione dei sindacati. Passano le settimane ed arriviamo così all’aprile del 2008, nel frattempo i premier Prodi viene sfiduciato.

Le amnesie dei sindacati

Al termine di una lunga riunione con i sindacati, avviene la rottura: Air France dichiara per bocca del suo presidente Spinetta che, a seguito delle richieste avanzate, ritenendole incompatibili per un ritorno della compagnia italiana alla redditività, non ci sono più le condizioni per andare oltre. Il capo della Cgil, Gugliemo Epifani, oggi segretario del Pd, gli risponde che la proposta non era accettabile per il livello di esuberi richiesto, non c’erano adeguate garanzie per l’area di Alitalia Servizi, per il futuro dei suoi dipendenti, quello di Malpensa e per il settore della manutenzione. Posizioni inconciliabili che portano a dure critiche da parte di Romano Prodi, premier dimissionario,  nei confronti dei sindacati ed alle secche repliche di quest’ultimi, in particolare di Epifani. Entrambi, però, non perdono occasione “di buttarla in politica”  rivolgendo critiche verso l’atteggiamento pro AirOne assunto dal vincitore delle elezione,  Silvio Berlusconi, dimenticandosi però tutti gli altri…

Un sospetto su Air France

Nondimeno, sull’atteggiamento di Air France sorge il sospetto che le diatribe nostrane e l’ostruzione dei sindacati abbiano in realtà consentito a Spinetta un’agile quanto repentina uscita di sicurezza da una situazione piuttosto complicata e difficilmente comunque sostenibile.

I numeri del tempo

Occorre ricordare che anche la gestione Air France non presentava numeri d’eccellenza, con utili in picchiata e previsioni future altrettanto negative. Incombevano ai tempi le prime nere nubi della crisi, con un prezzo del petrolio che aveva raggiunto i 135 dollari al barile mentre il piano industriale predisposto dai francesi si basava su una quotazione molto più bassa, intorno agli 80/85 dollari a barile. Date poi le sempre più precarie situazione di Alitalia, non si può non pensare che il buon Spinetta, lecitamente peraltro,  confidasse nell’ipotesi di un sicuro fallimento di Alitalia: in quel caso sarebbe stato estremamente più conveniente chiudere l’operazione con ovvii benefici per i francesi.

Che cosa succederà

Come sono poi andate a finire le cose è noto a tutti. In queste ore si apre un nuovo capitolo sul futuro della tafazziana avventura di Alitalia che certamente non vedrà protagonista Silvio Berlusconi. A meno che, anche questa volta, qualcuno non si riesca a far passare comunque la stravagante idea di un Cavaliere attore principale che influenza a prescindere: data la storia recente e le esperienze passate, non ci sarebbe poi così tanto da rimanere stupiti. D’altronde, anche il riscaldamento globale del pianeta e lo scioglimento dei ghiacci non sono forse opera sua?

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