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La verità su Berlusconi e gli avvoltoi del Pd

La politica politicante è precipitata a pratica usurante e dissipatrice e – quando va bene – a inconcludenza. Diventa perciò difficile giustificare una scelta, qual essa sia, che si compia per mero opportunismo congiunturale. La gara ad attribuire all’avversario di sempre la colpa degli errori finanziari, economici e sociali propri, si scontra con la realtà anche più evidente; e finisce col mettere a nudo la pochezza dei soggetti politici in campo, siano vertici, animatori passionali o truppe di complemento.

Diciamo la verità. Il Pd non voleva la conferma di Napolitano al Quirinale; era convinto di poter costituire un monocolore Bersani comunque; subì il governo Letta perché gli veniva regalata una posizione prestigiosa senza nulla avere pensato per meritarsela; e sapeva benissimo – prima del voto di febbraio e dopo la nascita di un ministero di coalizione presuntivamente impossibile – che Berlusconi era nei guai in sede giudiziaria e, quindi, politicamente vulnerabile.

Non gli Occupy-Pd soltanto, ma la quasi totalità della nomenclatura centrale e periferica del partito provvisoriamente affidato ad Epifani hanno remato sempre contro il premier Letta: che nelle precedenti primarie si era piazzato terzo in graduatoria, preceduto dal contestatissimo Renzi e, naturalmente, da un Bersani che pareva incarnare l’anima patriottarda postcomunista nella maniera meno traumatica possibile. Le variegate mascalzonate di cui furono vittime, nello svolgimento delle primarie, Renzi e Letta, opino non siano state dimenticate né dall’uno né dall’altro, né dai rispettivi seguaci. I vecchi smacchiatori di giaguari, in parte rottamati, in parte in via di superamento anche delle loro tracce, dopo aver sbarrato la strada ai pretendenti innovatori, con orientamento di tipo bulgaro si sono l’un dopo l’altro accodati alla corte del giovane signore fiorentino: non accorgendosi che per carattere, capacità di comunicazione, lessico populista e rapidità nell’inventarsi una iniziativa al giorno, Renzi è l’esatto clone del cavaliere di Arcore: persino nei progetti di spesa e di entrata; ma non ne possiede il carisma e la forza costruttiva.

Insomma, più i giorni passano, più aumentano candidati a tutto, più diminuiscono le possibilità di resistenza di chi un potere ce l’ha ma non lo ha saputo usare per eccesso di supponenza e scarsa intelligenza degli avvenimenti: nel mondo, in Europa, in un’Italia sempre più allo sbando per assenza di visione strategica, nel ventre di un elettorato sempre più molle e scarsamente fedele alle vecchie bandiere. Se solo ci si soffermasse a registrare la cronologia degli avvenimenti della scorsa settimana, sarebbe facile notare che il Pd – dopo due infuocate e inconcludenti giornate di una assemblea nazionale incardinata sul tema essenziale (e unico) delle regole concernenti la vita interna e, soprattutto, l’identificazione fra segretario del partito e candidato premier per il governo, non appena giunto l’annuncio delle dimissioni in massa dei rappresentanti del secondo partito della coalizione parlamentare e di governo -, quello stesso Pd si è ricompattato cercando di apparire unito e saldo contro l’irresponsabile nemico.

Letta, che sino al giovedì doveva guardarsi dalle mire di Renzi che pareva aver superato il 105 per cento dei consensi, con una giravolta è passato, alla domenica, a invitare gli italiani a pregare per un’Italia che in verità è da tempo fuori controllo e procede secondo dettami eteroguidati. Diciamola tutta. Non vecchi centristi in disarmo, e neppure soltanto alcuni ottimati che hanno già fornito abbondante prova di incapacità politica e di esercizio non democratico del potere, ma il Pd nel suo complesso ritiene anch’esso che l’eliminazione di Berlusconi dalla politica per via giudiziaria sia un fatto ormai compiuto ed abbia già dischiuso ampi spazi operativi per ciascuno di loro. Quasi che esista, senza possibilità di reversione, una eredità giacente a disposizione del più abile e del più furbo, salvo che per i berlusconiani moderati.

Gli avvoltoi che stanno avventandosi su tale eredità giacente parecchio presunta e che può, invece, far emergere molte sorprese, devono capire che moderati non significa essere remissivi, cedevoli, facilmente inclinabili verso un nuovo potere senza connotati che non sia l’antiberlusconismo viscerale. Attenzione agli abbagli, amici politici, evitate i calcoli opportunistici. Per ora potete spartirvi, forse, qualche briciola delle divisioni del Popolo della libertà; ma non esiste una eredità elettorale giacente il cui de cuius sia il fondatore di Forza Italia. Esiste, e dà invece molto da riflettere, solo l’altra possibilità: che il partito degli astenuti superi il 50 per cento e lo spazio della magistratura militante si allarghi ulteriormente. Grazie alla vostra miope allegrezza.


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