Matteo Renzi e Flavio Tosi. Oggi rispettivamente sindaco di Firenze e sindaco di Verona. Domani possibili candidati premier degli opposti schieramenti.
Nel capoluogo scaligero, ieri 14 ottobre, all’assemblea annuale della Confindustria locale, si è consumato il primo round, una sorta di partita amichevole tra i due primi cittadini.
L’impressione era di vedere la Roma giocare contro il Cittadella: un team da prima in classifica, proiettata verso lo scudetto, contro una squadretta locale che ha faticato ad arrivare alla serie B.
L’accento toscano e la parlantina veloce di Renzi, la voce marcata, la sicurezza nei toni e nei gesti – quasi da farlo sembrare un giovane Gerry Scotti – si sono contrapposti in maniera netta alla flemma contadina di Tosi, alla cadenza della bassa veronese, alla barba sfatta che rovina il colletto della camicia, al tono di voce basso e lento.
E’ come dover scegliere se bere una red-bull oppure un canarino. I due sono così diversi, ma in fondo con un obbiettivo simile: attingere al voto dei moderati del Pdl, di coloro che si sentiranno orfani del berlusconismo.
Oggi, però, di fronte a Renzi c’è il congresso del Pd, e il sindaco fiorentino, se vuole vincere, dovrà avere l’abilità di riassumere le diverse anime del suo partito (da quella ex democristiana, a quella ex comunista) e riuscire a mantenere un po’ di quel populismo che non fa molto radical chic di sinistra, ma che continua tenere ancorato un po’ di quell’elettorato moderato di centrodestra che potrebbe votare per lui.
Tosi, invece, sa da anni che se vuole sfondare deve smacchiare il verde dalle sue cravatte e dalle sue pochettes. I giornali locali veronesi e veneti da tempo hanno individuato nel vice segretario della Lega Nord un moderno democristiano, che si presenta alle elezioni amministrative con liste civiche che portano il suo nome per far valere il suo peso e per marcare che lui non è la Lega, lui è Tosi.
Il suo verde si sta sempre più sbiadendo e sta sempre più diventando qualcosa di più vicino a una bianca e moderna Dc 2.0, con qualche spruzzata di federalismo e di giustizialismo. Ma all’assemblea di Confindustria si è visto quanta strada deve ancora fare Tosi per uscire dal suo territorio: la polemica (tutta locale) con il presidente degli industriali veronesi Petrollo, l’incapacità di guardare oltre il polesano hanno portato gli auditori ad alzarsi e svuotare la sala, un segno non proprio positivo, considerato che per Renzi erano rimasti incollati alla poltrona.
Non è pronto Tosi per quello che sembra sempre più essere il suo obiettivo e cioè scendere in campo come il futuro candidato premier del centrodestra. Renzi invece lo è, e da due anni è a bordo campo che scalda i muscoli, ma a forza di scaldarsi entrerà spompato.
Questo gap tra i due, però, non per forza è uno svantaggio per il sindaco di Verona, perché tutto dipenderà dalla durata di questa legislatura. Se nel prossimo anno Tosi avrà le capacità di de-veronizzarsi, di ripulirsi della sua ruvidità, di abbracciare anche il sud Italia, gli immigrati, dialogare con i sindacati e volare più alto della mera polemica locale (seppur importante), potrebbe uscire da quel provincialismo che lo contraddistingue e conquistare qualche spazio sotto il Po.
Ma la strada è lunga e tutta in salita e forse gli ci vorrebbe un VeDrò, il think tank di Enrico Letta oggi rimasto orfano, per riverniciare la sua immagine e lanciarlo alla conquista dello stivale.
Gaia Carretta
@piccolocarro