un giorno, forse, quando si saranno calmati gli animi, si rifletterà come sulla decadenza di berlusconi sia venuto alla luce il conflitto ideologico che dilania la nostra italia: storicamente una nazione mediterranea, di cultura e tradizione romano-cattolica, che a seguito dell’opzione europeista si è aperta alla cultura anglosassone dello stato di diritto.
anche se i toni sono stati quelli tristemente noti della politique politicienne, sulla decadenza di berlusconi si è consumato uno scontro tra due concezioni della vita: tra il governo dell’uomo (l’eccezionalità del politico che rappresenta milioni di elettori) e il governo della legge (dura lex, sed lex); tra la politica (la ragione di stato può giustificare anche un atto non lecito) e la legalità (fiat justitia pereat mundus); tra la giustizia (la legge è eguale per tutti) ed l’equità (il caso singolo).
nel titolo ho scritto che ha vinto lo stato di diritto e perso l’Italia. non è un giudizio di merito, ma una constatazione: in una cultura, quale è quella italiana, tutta pervasa dall’insegnamento cattolico per il quale è il sabato ad essere fatto per l’uomo, con berlusconi ha prevalso la regola e non l’eccezione (nella mia concezione possono essere, in via di principio, legittime e giustificate ambedue: sempre da censurare sono, invece, gli abusi).
sarà adesso la cronaca a dirci se si siamo in presenza di una svolta culturale ovvero della più infame (e tipicamente italiana) della ingiustizie: aver applicato la legge per l’avversario (il nemico, berlusconi dixit), con la riserva di interpretarla, nel futuro, per gli amici.