Così anche a Bruxelles si sono accorti (meglio tardi che mai) che la Germania vive diversi squilibri macroeconomici.
A modo suo, certo.
Per il momento la Commissione si è limitata a fornire alcuni dati, a cominciare dal surplus di conto corrente che ormai veleggia intorno al 7% del Pil, e a decidere che bisognerà dedicare a Berlino un’analisi approfondita della situazione tedesca per arrivare a determinare se effettivamente la circostanza che la Germania sfori alcuni indicatori da anni sia la prova che il paese è squilibrato.
E’ questo il senso dell’Alert mechanism report rilasciato di recente dalla Commissione, che altro non è che l’avvio di un nuovo ciclo di macronomic imbalance procedure (Mip),ossia di altre analisi il cui scopo è quello di identificare squilibri capaci di creare problemi all’economia europea e all’unione monetaria.
A tal fine vengono redatte le In depth review (Idr), al cui termine si decide se tali eventuali squilibri necessitino di un’azione correttiva oppure no.
Per il momento, perciò, l’ingresso della Germania (anche dell’Italia, ma questa è una non notizia) nell’Amr e quindi il fatto che meriti un’Idr, equivale a una sostanziale messa in mora, i cui esiti si conosceranno soltanto nella primavera dell’anno prossimo, quando i risultati saranno resi noti, e andranno a fornire il materiale per il prossimo semestre europeo di coordinamento della politiche economiche. Ossia la sede dove eventuali decisioni verranno prese.
Tutto questo serve a capire quanto sia cervellotica la buropolitica di Bruxelles.
Degna di nota la circostanza che la Germania finisca all’indice della Commissione europee poche settimane dopo (ma sarà di sicuro un caso) il rapporto del Tesoro americano che ha accusato Berlino di essere una fonte di squilibri globali, a causa dei suoi attivi commerciali.
A quest’attacco “politico” arrivato di qua e al di là dell’Atlantico, Berlino ha risposto con un rapporto redatto da cinque saggi dell’economia (tutti tedeschi) secondo il quale non è vero che i surplus tedeschi siano un problema.
Questo è il succo, anche se all’interno dei saggi le opinioni sono assai più sfumate.
Il problema è che all’attacco “politico” se ne è aggiunto un altro assai più silente ma altrettanto insidioso: quello condotto dalla Bce lato Unione bancaria.
Le cronache raccontano dell’orientamento che starebbe sorgendo all’interno del futuro governo tedesco per evitare che il meccanismo di risoluzione bancario (SRM), secondo pilastro dell’Unione bancaria, venga costituito a livello sovranazionale, come è stato per il meccanismo di sorveglianza (SSM) che è stato affidato proprio alla Bce.
I tedeschi, secondo quanto dicono i bene informati, vorrebbero che il Risolutore fosse composto da autorità nazionali: sul modello dell’EBA, quindi.
Al contrario nella proposta formulata dalla Commissione, si propone un’entità sovranazionale alla quale far partecipare anche i rappresentanti degli stati e in qualche modo la Bce.
I banchieri centrali, dal canto loro, hanno più volte fatto capire di essere d’accordo con questa impostazione, visto che solo un risolutore assolutamente indipendente e credibile sarebbe capace di restituire fiducia alle banche europee conducendo a un risultato giudicato assolutamente irrinunciabile: il taglio del nodo che tutta esiste (e che la crisi ha rinforzato) fra il debito sovrano e le banche residenti.
Al di là dei tecnicismi, che comunque appassionano solo pochi, quello che conta è che la Germania stia subendo un vero e proprio accerchiamento, sia sul lato della propria politica economica che su quello bancario, che mira chiaramente a edulcorare il suo peso politico e, di conseguenza si traduce in un indebolimento della sua sovranità nazionale.
Ed è esattamente questo il punto.
Il processo di Grande convergenza, che viene proposto come unica soluzione ai vari trilemmi che affliggono l’eurozona, non poteva che concludersi mirando al bersaglio grosso: la Germania. Ossia l’unico stato nazionale che la crisi ha paradossalmente rinforzato (lo vedremo in un altro post) e che perciò rischia di essere un ostacolo invalicabile lungo il gagliardo percorso di crescita dell’Unione Europea.
Percorso che si nutre della crisi degli stati nazionali, come è noto. Ovvero della loro incapacità a fornire risposte alle sfide della globalizzazione.
Solo che, mentre era facile applicare la teoria degli effetti benefici della crisi ai poveri PIIGS, incapaci di difendersi a causa dei propri debiti, assai più difficile prendersela con i pezzi grossi che hanno anche la ventura di essere i creditori.
Sempre la Germania.
Il Grande Creditore diventa improvvisamente un pericolo. E le sue banche un fattore di instabilità da tenere sotto controllo.
Vedremo come reagirà Berlino all’accerchiamento.
Certo non basteranno cinque saggi.
Di buono c’è che lo capiremo presto, visto che tutti questi processi andranno in cottura entro il 2014.
Intanto vale la pena sottolineare il paradosso per il quale tutti coloro che hanno coltivato sentimenti di inimicia nei confronti della Germania oggi dovrebbero augurarsi che riesca a resistere all’attacco (travestito di innocui rilievi tecnici) concentrico di Ue e Bce, se hanno a cuore la sovranità degli stati europei.
La “caduta” della Germania, infatti, segnerebbe il definitivo tramonto della sovranità nazionale e il trionfo delle entità sovranazionali.
Il dilemma di Thomas Mann fra una Germania europea e un’Europa tedesca verrebbe finalmente sciolto a favore dell’Unione Europea tout court. E certo non è un caso che lo scrittore tedesco lo abbia formulato nel lontano 1953, due anni dopo la nascita della CECA.
La Germania, tutt’al più, sarebbe un’azionista di riferimento dell’Ue.
In ogni caso, un passaggio storico.
Meditate gente, meditate.