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Che cosa (non) succede nelle Borse

Wall Street ha chiuso degnamente la settimana corta con massimi storici su tutti i principali indici (S&P500, Dow Jones, Nasdaq e Russell 2000 small caps). Come osservato più di una volta, il recente newsflow macro è l’ideale per alimentare il rally:  abbastanza positivo da supportare uno scenario di accelerazione della crescita nel 2014, ma non troppo, da far correre ai ripari la FED in tempi brevi.

SEDUTA ASIATICA

Il buon sentiment ha contagiato la seduta asiatica. Tokyo ha festeggiato il $/Yen sopra 102 per la prima volta da maggio scorso con uno scatto (+1.8%).  Recentemente la somiglianza tra i 2 grafici di borsa e divisa è pressochè assoluta, a sottolineare la natura principalmente tecnica del movimento. Il resto dell’area ha mostrato incrementi meno significativi, in un contesto di attività moderata.

SITUAZIONE EUROPEA

In barba al clima festivo, la mattinata era densa di eventi in Europa. Sul fronte prezzi, l’Import Price index tedesco di ottobre ha confermato che l’Europa continua a importare disinflazione, via € forte e commodities deboli. Notizie assai migliori sul fronte CPI , con il dato flash tedesco novembre (0.2% da prec -0.2% e vs attese per 0.1%) e quello spagnolo (0.3% da prec 0.0% e vs attese per 0.1%) che lasciano sperare in un rimbalzo maggiore delle stime domani per il CPI flash EU (atteso a 0.8% da 0.7%). Una sorpresa positiva farebbe sicuramente tirare un sospiro di sollievo a Draghi, e non solo a lui.

DETTAGLIO SULL’ITALIA

Buoni anche i dati di Economic, Industrial e Consumer confidence sia a livello europeo che italiano, tutti in generale progresso e sopra le attese. Meno positivi i dati sugli aggregati monetari pubblicati dall’ECB, con M3 in calo a +1.4% da +2.0% di settembre. Dietro il calo, uscite dai fondi monetari, verso altri strumenti di investimento. Riguardo i credit flows, il credito alle aziende resta in trend negativoun fenomeno che potrebbe indurre la Banca Centrale Europea a rompere gli indugi con alcune delle misure ipotizzate i giorni scorsi.

Infine, ieri mattina ha avuto luogo quella che dovrebbe essere l’ultima asta medio lungo termine italiana dell’anno, visto che quella di meta mese è stata cancellata (con oggi il Tesoro ha raggiunto il target di 470 bln per il 2013) e quella di fine dicembre, avendo valuta di pagamento gennaio, tecnicamente appartiene al 2014. L’asta è stata agevolmente coperta nel suo ammontare massimo (2.5 bln) con buona domanda e prezzo di emissione in linea col secondario.

TENDENZA GENERALE

Intuibilmente, la preponderanza di buone notizie e l’abbrivio di Wall Street e Asia hanno favorito un buon tono sui mercati, prima che l’avvento del Ringraziamento in US levasse qualsiasi velleità alla price action. Considerando che oggi in US è black friday (apertura della stagione di shopping natalizio) e la seduta Us osserva un orario ridotto, difficilmente la situazione si modificherà nelle prossime ore.

Approfittando del clima festivo, volevo allargare un po’ il discorso accennato giorni fa sulle valutazioni a Wall Street. Come osservato nel citato studio di Deutsche Bank, il 75% della performance dell’S&P 500 nel 2013 è costituito da multiple expansion con Price/Earnings che sono passati da 13.7 a 16.5 volte i trailing EPS.
L’entità del repricing sta alimentando un fervente dibattito circa la sostenibilità di questi livelli.
Effettivamente, 16/17 di PE non è di per se un livello particolarmente elevato, discostandosi di poco dalla media di lungo periodo. Difficile quindi giudicare le valutazioni eccessive solo sulla base di questo numero.

PROFITTI AZIENDALI AI MASSIMI

Detto ciò, non sono in pochi a far osservare che i profitti aziendali come percentuale del GDP si collocano ai massimi storici, circa un 70% sopra la media di lungo periodo. Questa serie tende alla “mean reversion”, vale a dire a fasi in cui i profitti crescono assai di più del PIL, ne seguono altre in cui per vari motivi ( recessioni, concorrenza tra aziende, aumenti dei costi e/o cali nella produttività) questo rapporto torna sotto la media di lungo periodo (6/7%). La conclusione del ragionamento è evidente: ai massimi storici, la probabilità di  “mean reversion” è assai elevata.

In altre parole, più che del livello dei multipli, gli investitori si dovrebbero preoccupare della possibilità che gli utili aziendali, denominatore dei multipli stessi, si contraggano, causando,  coeteris paribus, un repricing dell’equity.

ESEMPI SIGNIFICATIVI

Ora, negli ultimi anni vi sono 2 esempi in cui una significatica contrazione degli utili come % del GDP non ha impedito a Wall Street di mettere a segno rally significativi: tra l’ 80 e l’ 85 e tra il 97 e il 2000. Peraltro, nel primo caso si usciva dal bear market iniziato a metà anni sessanta, e i trailing PE a inizio periodo si trovavano al minimo storico di 6 circa. Nel secondo caso, trattasi della bolla tecnologica, per effetto della quale i PE hanno superato 30.

Tirando le somme, se uno considera i multipli insieme con i livelli dei profitti aziendali in rapporto al GDP, è dura scacciare l’impressione che le valutazioni a Wall Street comincino a farsi generose.
Ciò non impedisce che queste diventino ancora più care, in particolare se la FED continua a mantenere una politica monetaria ultrespansiva.


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