Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Giorgio Ponziano apparso sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi.
Prodi, the vendicator. Che il killeraggio subìto nel rush per la presidenza della repubblica avesse lasciato segni indelebili sul Professore lo si era capito da parecchi indizi: il mancato rinnovo della tessera Pd, il rifiuto a incontrare i dirigenti pidiessini di passaggio da Bologna (interrompendo il rito del loro omaggio nella sua casa di via Gerusalemme), il libro («I 3 giorni che sconvolsero il Pd») della sua portavoce, Sandra Zampa, un j’accuse contro i traditori. Nessuno dei 101 ha finora avuto il coraggio di ammettere il fattaccio ma l’entourage prodiano non ha dubbi: conta e riconta non si arriva a quel numero senza un consistente gruppo di parlamentari di osservanza renziana. La conferma arriva anche dai due principali collaboratori di Pierluigi Bersani nel campo della comunicazione, Stefano Di Traglia e Chiara Geloni, che nel libro «Giorni bugiardi» scrivono: «è convinzione di chi conosce la composizione dei gruppi parlamentari che in nessun modo sia possibile raggiungere quota 101, senza includere i 41 renziani».
Quindi è attorno al gruppo del sindaco, secondo gli intimi di Bersani, che si è coagulata la congiura che ha provocato la rottamazione di Romano Prodi. Lui non è un professionista della politica come Massimo D’Alema, il quale dopo essersi autorottamato da parlamentare sotto i colpi di Matteo Renzi sta continuando a tirare le fila dei giochi interni al Pd. No, Il Dna di Prodi non possiede il bizantinismo della politica, egli tolse irreversibilmente il saluto a Fausto Bertinotti all’indomani del voto che fece cadere il suo governo (spianando la strada a Berlusconi) così come oggi restituisce a Renzi la polpetta avvelenata lanciando sui giornali l’annuncio che il Pd che si sta costruendo, e che avrà probabilmente il sindaco di Firenze alla segreteria, non è più quel partito ulivista che lui aveva contribuito a costituire. Quindi, affinché questo dissenso sia ben marcato anche presso coloro che continuano a richiamarsi a Prodi all’interno del Pd, egli ha annunciato ai quattro venti che l’ 8 dicembre andrà al mare e non al seggio delle primarie. Insomma nel partito di Renzi, Prodi non ci sarà.
Carlo Galli, che diresse Il Mulino, associazione politica sensibile al prodismo, neo-eletto in parlamento nel Pd, si esprime assai duramente: «La semplificazione del blitz, e non la fatica del concetto e della partecipazione, la superficialità e non la radicalità, sono l’arma segreta (ma non tanto) di Renzi, insieme al diffuso disprezzo per l’attuale ceto politico.
Renzi ha molto sale ma non è ancora chiaro quale pietanza ne sia insaporita. Quale piatto, insomma, si appresta a servirci il nuovo aspirante capo-cuoco, pur bravo maneggiatore di spezie. La sua indeterminatezza è tanto affascinante quanto ambigua, e non ha in sé alcuna caratteristica ascrivibile alla sinistra, comunque questa possa essere declinata. E poi, Renzi non è neppure un moderato per scelta, come invece è Letta, lo è per necessità, perché vuole parlare a una platea così vasta da essere costretto a lanciare messaggi indeterminati e generici, messaggi in cui la forma prevale di gran lunga sul contenuto».
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