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Bankitalia, ecco il miliardario regalino impacchettato da Letta e Saccomanni per Intesa e Unicredit

Un premio per le banche, ma anche (forse) per lo Stato. Il gatto e la volpe, verrebbe da dire. Si parla della rivalutazione, a 7 miliardi, della partecipazione in Bankitalia detenuta dai maggiori istituti di credito italiani. A patto che arrivi il via libera dalla Bce, che si dovrebbe esprimere la prossima settimana (le prime indiscrezioni parlano di un via libera imminente)

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, in cosa consiste il regalino per le banche nella rivalutazione del capitale della Banca d’Italia che sta seguendo il governo?

IL REGALO DI NATALE SPEDITO DALLA BANCA D’ITALIA
I calcoli li ha fatti Mediobanca, i cui analisti scrivono in un report: “Una rivalutazione della quota a 7 miliardi comporterebbe 3 miliardi di plusvalenze, il 98% concentrato in Intesa e Unicredit, che avrebbero guadagni rispettivamente per 1,9 e 1 miliardo. In dettaglio, per Intesa, che ha una partecipazione del 43%, si tratta di 62 punti base per le loan loss provisions (Llp, accantonamenti per coprire eventuali perdite), del 4,2% in più di riserve per i crediti deteriorati e di un rialzo del Core Tier 1 dello 0,9%. Segue Unicredit con 24 punti extra di Llp, +1,5% in coperture per crediti deteriorati e +0,3% sul Ct1”. In media, per le maggiori azioniste, oltre a Intesa e Unicredit, Mps, Banco Popolare, Ubi, Bper e Bpm si tratta di 28 punti base omaggio sulle Llp, l’1,7% di cassa in più per coprire crediti deteriorati e 40 punti base di regalo sul Core Tier 1. A bilancio i sette istituti hanno la partecipazione a bilancio a 1,7 miliardi, “la dispersione però è enorme (Ubi a 0,5 miliardi, Mps a 7,5 miliardi)”.

GLI INCASSI PER LO STATO
Le banche, con l’operazione concertata con Tesoro e Bankitalia, riuscirebbero a monetizzare una partecipazione illiquida e ad aumentare così i requisiti di capitale in vista degli Asset quality review: il capital gain ammonterebbe a 5,5 miliardi. Lo Stato ne ricaverebbe il 20% di imposte, ovvero 1,2 miliardi.

LA COMPOSIZIONE DEL CAPITALE DI PALAZZO KOCH
Per ragioni storiche – ricordano gli analisti di Mediobanca capitanati da Antonio Guglielmi – le azioni di Bankitalia sono detenute da banche e assicurazioni: un’eredità di un passato in cui gli azionisti erano appunto banche di Stato: “Il potenziale conflitto di interesse, un istituto che possiede quote del suo regolatore, è risolto attraverso lo statuto che garantisce l’indipendenza degli istituti di credito. Tuttavia molte volte si è pensato a una riforma, la più recente proposta prevede che si fissi una soglia massima di partecipazione che ogni banca può possedere e si crei un mercato di scambi per vendere le azioni eccedenti la soglia”.

LE PERPLESSITÀ DELLA BCE
Il maggior ostacolo alla mera rivalutazione è che – si legge nel report di Mediobanca Securities – difficilmente avrà il via libera da parte della Bce: è più probabile la creazione di un mercato dove le banche possano vendere le loro quote a istitutori internazionali. La stessa Bankitalia ha indicato in 5-7,5 miliardi il valore delle sue quote, a fronte dei datatissimi 156mila euro vigenti calcolati negli anni Trenta.

CHE COSA PREVEDE LO STATUTO DELLA BANCA D’ITALIA
Lo Statuto della Banca centrale fissa il dividendo al 6% del capitale, vale a dire 9.360 euro, che può essere integrato da un ulteriore dividendo pari al 4% del capitale (6.240 euro). Ciò significa che, esclusi i dividendi straordinari, la Banca d’Italia deve agli azionisti 15mila e 600 euro all’anno. “Ciò a fronte di un utile netto annuale di 2,5 miliardi nel 2012, con payout dello 0,001% – si legge ancora nel report di Mediobanca Securities – Nel 2012, la Banca d’Italia ha proposto un dividendo straordinario di 70 milioni per un payout complessivo del 2,8%. Tutti i guadagni rimanenti non accantonati nelle riserve obbligatorie prudenziali vengono versati allo Stato. Ciò da un lato conferma l’assoluta indipendenza gestionale della Banca d’Italia dai suoi azionisti, dall’altro riflette il bassissimo fascino delle azioni per gli investitori”.

La rivalutazione implicherebbe, dunque, dividendi annuali di 0,5 miliardi, con un payout del 20% e un rendimento del 10%, che nel contesto attuale di bassi tassi è invece particolarmente attraente.

E IL CONTRIBUENTE FA PINOCCHIO
A farne le spese sarebbero però i contribuenti. L’anno scorso Bankitalia ha devoluto allo Stato 1,5 miliardi dei 2,5 di profitti complessivi: i cambiamenti normativi aumenterebbero i dividendi di 8 volte, riducendo l’assegno annuale al Tesoro di 0,4 miliardi in cambio di una tantum da 1,2 miliardi di tasse sui capital gain di banche e assicurazioni.

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