Le industrie energetiche in Germania sono in allarme per le indiscrezioni che si rincorrono sulla possibilità che vengano tagliati i sussidi per le rinnovabili. Il rischio – così come riporta il Financial Times – sarebbe la perdita per i produttori tedeschi di “esenzioni” pari a miliardi di euro; ma non solo, le fabbriche, in questo modo, non sarebbero in grado – ed è questo ciò che preoccupa di più – di competere a livello internazionale, soprattutto con i rivali del mercato americano che hanno dalla loro l’esplosione dello shale gas.
UNA NUOVA KOALITION
L’ipotesi che circola ha anche molto “sapore” politico: sarebbe infatti sul tavolo dei negoziati per la prossima grosse koalition. Il peso ha però anche un valore economico, che si aggira intorno ai 2,3 miliardi di euro (lo scorso anno) per le sole imprese ad altà intensità energetica.
Anche Angela Merkel parla della riforma del sistema di sussidi all’energia verde come di una delle “priorità” del nuovo governo: per la cancelliera è necessario “frenare l’esplosione dei costi per le sovvenzioni energetiche rinnovabili”. Tanto che tra i primi grandi progetti sembrerebbe esserci “un emendamento” alle norme che regolano le energie rinnovabili.
LA DISTRIBUZIONE DEI COSTI
Alla base della modifica c’è anche la volontà di distribuire in modo più uniforme i costi delle bollette che finora sarebbero stati sobbarcati dalle famiglie e da alcune società. L’obiettivo è la riduzione dei sussidi per l’energia verde portando le imprese super-energivore a pagare una quota.
Non si sono fatte attendere le repliche da parte di chi viene chiamato in causa. La prima a parlare è stata l’industria chimica Basf, con il direttore generale, Kurt Bock, che ha messo in guardia sulle ricadute occupazionali di una possibile modifica; non solo, per Bock c’è anche “il pericolo che la produzione possa venire trasferita” altrove. Alla Basf fanno eco pensieri e parole di molti altri dirigenti europei: lo sguardo naturalmente è rivolta verso la nuova frontiera dell’energia a bassi prezzi; e cioè al di là dell’oceano Atlantico, grazie alla “scoperta” dello shale gas.
Tutto questo si traduce in un vantaggio “strategico e strutturale” per gli Stati Uniti secondo gli analisti tedeschi; un vantaggio per il “futuro” e per le imprese che richiedono molta energia per funzionare.
LA PRODUZIONE TIENE
Eppure soltanto pochi giorni fa la Germania ha fatto tremare gli Usa e il Fondo monetario internazionale. Il motivo è l’aver raggiunto un nuovo picco di surplus commerciale con esportazioni sempre più in alto, che metterebbero in crisi la già stentata ripresa dei Paesi in difficoltà in Europa. A settembre l’export tedesco è schizzato dell’1,7% (dopo il più 1% di agosto) con avanzo commerciale di 20,4 miliardi. Di pari passo scendono le importazioni con un calo dell’1,9%. Secondo una normativa europea che serve per agevolare la competitività i Paesi che non correggono gli squilibri potrebbero subire una revisione (la soglia limite è del 6%). E, da una stima della Commissione europea il surplus commerciale tedesco quest’anno dovrebbe toccare il 7% del Pil, per poi calare al 6,6% nel 2014. La cosa però non sembra preoccupare Berlino che per la domanda interna parla di una previsione di aumento grazie alla crescita dell’occupazione e all’incremento dei salari. E poi, per le esportazioni in eccesso, la difesa tout court chiamata crescita, non sembra fare una grinza; del resto, dicono da quelle parti, siamo la “locomotiva d’Europa”.