In Italia le dimensioni del sistema di previdenza integrativa appaiono ancora ridotte sia
nel confronto internazionale sia rispetto alle intenzioni del Governo e delle istituzioni che miravano a un rapido incremento nei tassi di adesione in risposta alla progressiva riduzione del sistema pensionistico di base. A giugno 2013 gli iscritti alle forme pensionistiche complementari sono circa 6 milioni, con un incremento rispetto a fine 2012 del 3,7 per cento. I dati evidenziano il perdurare nel 2013 di un trend di crescita lenta che aveva caratterizzato anche l’anno precedente.
LA PREVIDENZA INTEGRATIVA IN ITALIA: UN QUADRO AGGIORNATO
A fine 2012, le risorse finanziarie gestite dalle forme pensionistiche complementari rappresentavano il 6,7% del Pil e circa il 3% delle attività finanziarie delle famiglie, un valore ancora contenuto anche se quasi doppio rispetto a quello del 2006. Prima dell’avvio della riforma, tali percentuali risultavano infatti pari, rispettivamente, al 3,5 e all’1,5%. Nel 2012 i nuovi iscritti alla previdenza complementare sono stati 442mila. Il maggior contributo è stato fornito dai Pip con 338mila nuovi aderenti, seguiti dai fondi negoziali con 60mila e dai fondi aperti con 57mila unità. I fondi preesistenti hanno registrato 18mila nuove adesioni. Il meccanismo delle adesioni tacite ha apportato 14.000 nuovi iscritti, appena il 3 per cento del totale, di cui solo 1.400 sono confluiti in FondInps.
L’adesione alla previdenza complementare in Italia registra valori molto contenuti per le classi di età più giovani. L’età media degli aderenti è di 44,6 anni, rispetto ai 42 degli occupati. Risulta iscritto a una forma pensionistica complementare solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni. Il tasso di partecipazione arriva quasi al 24% per i lavoratori nella classe di età compresa tra 35 e 44 anni e sale al 30% per quelli tra i 45 e i 64 anni. Gli iscritti di sesso maschile rappresentano il 63% del totale degli aderenti con un tasso di partecipazione del 27% per gli uomini e del 23% per le donne.
Per avere un quadro più fedele dell’effettivo livello di partecipazione alla previdenza complementare occorre considerare anche l’ammontare delle sospensioni contributive che in Italia ha assunto una dimensione rilevante. Nel 2012 circa 1,2 milioni di persone non hanno alimentato la propria posizione individuale mediante il versamento dei contributi, circa 100.000 in più rispetto all’anno precedente. Il 20% degli iscritti non versanti presenta una posizione individuale nulla o irrisoria (al di sotto di 100 euro).
Dal 2008 a oggi il numero di coloro che hanno sospeso la contribuzione si è accresciuto di 500 mila unità. Questo fenomeno trova maggior riscontro tra i lavoratori autonomi che non usufruiscono dei versamenti ricorrenti da parte del datore di lavoro o del flusso di Tfr e sono quindi più soggetti a discontinuità contributive. Al netto delle sospensioni, il tasso di adesione di coloro che contribuiscono
regolarmente rispetto agli occupati scenderebbe al 20,2% (dal 30 al 25% per i lavoratori privati e dal 26,6 al 17,5 per quelli autonomi); rimarrebbe nel complesso stabile al 4,5% il tasso di adesione tra i dipendenti pubblici.
SI RIDUCE IL NUMERO DEGLI SCHEMI PREVIDENZIALI
A fine 2012 sul mercato italiano risultavano operative 536 forme pensionistiche complementari suddivise tra: fondi pensione negoziali (39), fondi pensione aperti (59), fondi pensione preesistenti (361) e piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (76). A questi occorre aggiungere FondInps, la forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS e destinata ad accogliere i flussi di Tfr dei lavoratori silenti per i quali gli accordi collettivi non prevedono un fondo di riferimento.
Nonostante il numero elevato di forme pensionistiche, in termini di adesioni il sistema presenta un elevato grado di concentrazione. A fine 2012 i dieci schemi previdenziali con oltre 100mila iscritti (4 fondi negoziali, 5 Pip e un fondo aperto) totalizzavano 2,3 milioni di persone, pari al 43 per cento del totale. Su 536 forme di previdenza complementare totali solo 91 contano più di 10.000 iscritti e riuniscono 4,8 milioni di aderenti, pari all’89 per cento del totale.
Il secondo pilastro previdenziale, a partire dal 2000, ha sperimentato un consolidamento nel numero degli schemi pensionistici con una riduzione di oltre 200 unità. Le forme maggiormente coinvolte in questo processo di razionalizzazione sono stati i fondi pensione preesistenti e i fondi pensione aperti, anche per effetto delle aggregazioni di gruppi bancari e finanziari che hanno fatto confluire le diverse forme
previdenziali in schemi comuni.
La struttura del mercato sembra lasciare ancora spazio a un processo di concentrazione e razionalizzazione del sistema che consentirebbe di incrementare le masse gestite dai singoli fondi e di poter beneficiare di economie di scala. La contrazione nel numero degli schemi previdenziali si è accompagnata tuttavia a un
notevole incremento delle risorse gestite. Il patrimonio, pur contenuto nel confronto internazionale, tra il 2006 e il 2013 è più che raddoppiato grazie anche a una raccolta media prossima ai 7 mld di euro l’anno.
L’ASSET ALLOCATION E I RENDIMENTI DEI FONDI PENSIONE
A giugno 2013 le risorse destinate alle prestazioni ammontavano a 108 mld di euro, di cui poco meno della metà (48 mld di euro) nelle casse dei fondi pensione preesistenti, 32 mld gestiti dai fondi pensione negoziali e 11 mld dai fondi pensione aperti. I Pip gestiscono complessivamente 17 mld di euro. Il flusso di Tfr versato nelle casse della previdenza complementare nel 2012 è rimasto, in linea con l’anno precedente, pari a 5,3 mld di euro.
In termini di asset allocation il patrimonio gestito dalla previdenza complementare è investito per il 61% in titoli di debito, in oltre l’80% dei casi si tratta di titoli di Stato. A fine 2012, il portafoglio obbligazionario ammontava a 46,8 mld di euro (38,6 miliardi di titoli sovrani). La quota dei titoli del debito pubblico italiano è rimasta stabile al 55% per un controvalore di 21,3 mld di euro, mentre i titoli in portafoglio emessi da paesi dell’eurozona con maggiori problemi nei conti pubblici (Spagna, Portogallo e Irlanda) ammontano complessivamente a 1,4 miliardi di euro, pari al 3,6% del totale. Tra le
altre categorie di investimento, il 14% del patrimonio risulta impiegato in azioni, mentre le quote di OICR risultano pari al 13% del totale. L’esposizione azionaria, calcolata includendo anche i titoli di capitale detenuti attraverso le quote di OICR, è pari al 22,6 per cento. Nel primo semestre del 2013 i risultati di gestione delle forme pensionistiche complementari sono stati superiori al tasso di rivalutazione del Tfr, anche se in modo meno accentuato rispetto all’anno precedente. Nel periodo tra gennaio e giugno 2013 i fondi pensione negoziali si sono rivalutati dell’1,3%, i fondi pensione aperti del 2,6% a fronte dell’1% del Tfr.
Nel 2012 a fronte del 2,9% di rendimento del Tfr, tutte le tipologie di forme pensionistiche complementari di nuova istituzione avevano registrato in media rendimenti compresi fra l’8 e il 9% (+8,2% per i fondi negoziali, +8,9% per i PIP unit linked e +9,1% per cento per i fondi aperti. Più contenuto il rendimento delle gestioni separate dei Pip (+3,8% per cento). Tra le diverse tipologie di prodotti, l’andamento positivo dei principali mercati azionari internazionali ha premiato in termini di rendimenti le forme previdenziali caratterizzate da una più elevata esposizione azionaria.
GLI EFFETTI A SEI ANNI DALLA RIFORMA DELLA PREVIDENZA INTEGRATIVA
A sei anni di distanza dall’avvio della riforma il quadro delle adesioni alla previdenza complementare non può dirsi soddisfacente. Dal 2006 al 2013 le adesioni sono passate da 3,1 a 6 milioni. Quasi la metà dell’incremento (1,4 milioni) si è concentrata tuttavia alla scadenza del primo semestre del 2007, termine entro il quale doveva essere esercitata l’opzione sul conferimento del Tfr. Negli anni successivi la raccolta delle adesioni ha perso slancio riportandosi su valori molto contenuti.
Tra le varie tipologie di prodotti previdenziali di secondo pilastro l’incremento delle adesioni (2,7 milioni) ha riguardato in modo più accentuato i Pip (+1,5 mln di aderenti), seguiti dai fondi negoziali (+750mila), e dai fondi aperti (+430mila). Più contenuto l’incremento per i fondi preesistenti (+16mila) che scontavano un tasso di partecipazione dei possibili aderenti già elevato. I fondi preesistenti continuano a concentrare la quota maggiore delle risorse dell’intero sistema, la loro incidenza sul
totale è, tuttavia, scesa dal 63% del 2006 al 45,8% di fine 2012. L’insorgere della crisi finanziaria ha tolto slancio alla previdenza complementare per effetto delle tensioni sui mercati, dei problemi di finanza pubblica e del propagarsi della crisi all’attività produttiva e all’occupazione, che ha reso più difficile destinare quote di reddito al finanziamento dei piani pensionistici.
In un arco temporale di quasi dieci anni i fondi pensione hanno offerto tuttavia un rendimento di poco superiore a quello del Tfr. Fatto 100 il 2004, a giugno 2013 il rendimento dei fondi pensione negoziali risultava pari a 134,8, quello dei fondi aperti a 129,1 a fronte del 128,5 della rivalutazione del Tfr.
Nel complesso il tasso di adesione dei lavoratori alla previdenza complementare, calcolato come rapporto tra iscritti e occupati si attesta al 25,5%, mentre rispetto a una platea di potenziali aderenti di 25,6 milioni di persone (forza lavoro), che comprende anche le persone in cerca di occupazione, il tasso di adesione risulta pari al 22,7% a fronte del 12,9% prima della riforma.
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