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Gli intellettuali del piffero sbugiardati da Mastrantonio

Pubblichiamo l’articolo di Costanza Rizzacasa d’Orsogna uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi, grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori.

Diciamocelo, con il saggio Intellettuali del piffero – Come rompere l’incantesimo dei professionisti dell’impegno, Marsilio, l’autore, Luca Mastrantonio non si sarà fatto molti amici. Ma poco importa, perché il giornalista del Corriere della Sera in forze al supplemento domenicale La Lettura, già a capo della cultura del Riformista, ha scritto un libro coraggioso ed esplosivo che, facendo nomi e cognomi, smaschera opportunismi e ipocrisie dell’Italia del piffero.

Dove il piffero – dall’incantatore di ratti e di bambini della fiaba dei fratelli Grimm al terzo maiale della Fattoria degli animali di Orwell, ma è chiaro il gioco di parole con l’espressione “bassa” cara a Pietro Aretino per indicare il più triviale fondamento di anatomia – è per l’autore lo strumento distintivo della società odierna.

Intellettuali pifferai, quindi, magici e non, per cui, denuncia Mastrantonio, «l’impegno è come un titolo di Borsa. Redditizio, speculativo, troppe volte tossico». Perché «nell’ultimo ventennio in troppi hanno commesso la truffa di travestire da militanza il proprio tornaconto personale: c’è chi ha goduto di posizioni di rendita grazie a opposti finti estremismi, facendo affari col nemico, e chi ha speculato, mettendo «in pegno» non la propria credibilità a favore di una causa superiore, ma l’impegno stesso».

La prestazione intellettuale infatti ha il suo tariffario. «L’impegno è un concetto frainteso», nota l’autore, «anche perché si è perso il senso originale del termine». La connotazione è tutta economica: il soldo è il primo motore dell’intellettuale del piffero, sia di destra che di sinistra: l’unica differenza è nel rapporto con esso. «Perché, se a destra il compenso è ostentato, o meglio rinfacciato agli altri, come se contasse solo il valore di mercato (chi guadagna tanto, vale tanto), a sinistra è preso quasi di nascosto, come se fosse lo sterco del demonio» (viene in mente la reazione molto indispettita di Fabio Fazio nei confronti di Renato Brunetta che ne contestava i lautissimi compensi a Che tempo che fa). Ecco, «gli intellettuali del piffero ricevono dall’impegno più di quanto danno». Milioni, tra gettoni di presenza a fiere e festival, finte lettere ai giornali, interviste, lezioni, recensioni, perfino donazioni.

Il risultato è un bipolarismo cronico, che, da sistema elettorale, è diventato disturbo psichico («la sinistra è affetta dalla sindrome dei migliori, la destra ascolta gli istinti peggiori; il centro oscilla secondo convenienza, non coscienza»). O meglio disturbi, perché Mastrantonio, cattivissimo, ne individua almeno una decina, esilaranti se non fossero tragici. Dalla «schizofrenia cognitiva» di chi ha il cuore a sinistra e il portafogli a destra, vedi gli autori che lanciano anatemi contro Silvio Berlusconi ma pubblicano con Mondadori o la di lei Einaudi, autoassolvendosi con tripli salti mortali (da Corrado Augias a Piergiorgio Odifreddi, a Massimo Carlotto – mentre più simpatica è la «schizofrenia consapevole» di Francesco Piccolo), all’«escapismo elettorale» di chi minaccia di andarsene dall’Italia qualora dovesse vincere il proprio avversario politico (quasi sempre Berlusconi), vedi Umberto Eco, Franco Battiato, Antonio Tabucchi e più recentemente Roberto Saviano – per Mastrantonio, che pure non manca di riconoscerne i tanti meriti, «l’esempio più tragico di pifferaio magico», presente in quasi tutte le categorie, a pari merito con l’amatissimo si-fa-per-dire Alessandro Baricco.

E ancora. Dalla «cassandropausa profetica», ovvero il club del «Ve l’avevo detto», «uno dei più affollati d’Italia”, che vanta fra i suoi membri i soliti Eco e Saviano, ma anche Nanni Moretti («Basta aver scritto qualcosa di vago che poi è stato vagamente confermato dagli eventi», ironizza Mastrantonio), alla «cleptomania editoriale» del filosofo Umberto Galimberti, Vittorio Sgarbi e Daniele Luttazzi. Fino al «ninfomoralismo ipocrita» delle «libertine di ieri diventate bigotte», come Lidia Ravera e Melissa Panarello. La prima, storica autrice di Porci con le ali, che liquida Veronica Lario come velina, salvo poi strumentalizzarla quando serve alla causa (titolo «Veronica, licenzialo» sull’Unità del 2008 – ma all’innamoramento «interessato» della sinistra per la Lario, da Ezio Mauro a Paolo Flores d’Arcais, è dedicato tutto un altro capitolo); la seconda, «che da minorenne ha vissuto (o immaginato) esperienze sessuali di ogni tipo, trasposte poi nel libro 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire», va ad Annozero a dire, «Non faccio il bunga bunga che è una pratica tribale crudele» – e però poi si mette a scrivere per Il Giornale perché «almeno lì non le sbagliano il cognome» storpiandolo in quello del comico Panariello, come invece da Santoro.

Mastrantonio coinvolge anche Dacia Maraini, presente nella sottocategoria del «moralismo relativista» con la sua teoria per cui il burka è come un bikini. È evidente, da questa piccola antologia, che gli intellettuali del piffero suonano soprattutto per se stessi. «Piffero si è messo in proprio, suona per sé», scrive Mastrantonio. «Suona per chi gli promette una prebenda politica o semplicemente gli paga una lezione di storytelling alla scuola di scrittura creativa, da lui fondata». Il riferimento puramente voluto è ad Alessandro Baricco, che sul blog del Corriere «Criticalmastra» l’autore descrive con «le pile scariche» all’ultima Leopolda; e, nel libro, trafigge anche a mezzo terzi («I veri pomodori hanno un grande pubblico: quasi come i libri di Baricco», è la citazione-stilettata di Pietro Citati, a sua volta per Mastrantonio «il maggior passatista letterario-alimentare»).

Un Baricco «organolettico» ma «bicefalo», che tiene seminari di narrazione con il supermarket di prodotti alimentari di lusso Eataly e, allo stesso tempo, lamenta l’eccesso di narrativa in ambito alimentare; che cura uno spot per il colosso della pasta di largo consumo Barilla, perché, graffia Mastrantonio, «dove c’è Baricco, comunque, c’è casa». Politicamente, «Baricco è una banderuola», conclude l’autore: «seguirlo è folle, sarà sempre, furbamente, avanti, ma ascoltarlo è utile perché sa rendere visibile la direzione del vento».

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