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I profughi del clima

Si tratta di un aspetto poco focalizzato, nell’ambito del dibattito sulle migrazioni, ma che gli esperti ritengono rischi di diventare davvero preoccupante: i flussi di popolazione legati ai fattori ambientali. Le stime del 2010 parlano di ben 50 milioni di ‘profughi del clima’ ma secondo l’Iom, l’Organizzazione per le migrazioni, già nel 1990 si contavano 25 milioni di persone che hanno cominciato a le loro terre a causa di problematiche ambientali, inquinamento, desertificazione, siccità. Sempre secondo lo Iom una persona ogni 45, nel mondo, potrebbe essere sfollata a causa del Climate Change. Un fenomeno che finisce per aggravare il problema, considerando le ricadute che uno spostamento così consistente può avere sugli equilibri già precari dei territori coinvolti.

“Le emergenze ambientali e il cambiamento climatico stanno provocando e provocheranno sempre più problemi di ordine sociale, oltre che economico”, dichiara il direttore del Dipartimento di scienze del sistema terra e tecnologie per l’ambiente (Dta) del Cnr, Enrico Brugnoli. “Le migrazioni di massa a causa di scarsità di risorse, alluvioni e altri eventi estremi, raggiungeranno livelli preoccupanti se non si provvederà ad adottare politiche adeguate a livello globale. Queste criticità tra l’altro implicano aspetti giuridici ancor più complessi di quanto già non sia per il fenomeno delle migrazioni in generale, poiché questo specifico caso ancora non trova una forma di riconoscimento, ad esempio lo status di rifugiato. Va inoltre considerato che abbandoni consistenti delle terre possono comportare ulteriori pressioni e causare maggiori squilibri ambientali”.

Anche un gruppo di scienziati dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) che studia i cambiamenti climatici su mandato Onu, ha confermato che la migrazione umana potrebbe essere “uno dei fattori più importanti” dei cambiamenti climatici.

Articolo pubblicato nell’ultimo Almanacco della Scienza a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Leggi l’articolo completo sul sito del Cnr


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