Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Il segreto del deficit al 3%

Uno si chiede: ma perché il deficit dei paesi dell’eurozona non può superare il 3%?

La prima risposta è quella facile: perché è scritto nei Trattati europei.

I più scrupolosi andranno a leggersi il Trattato di Maastricht, ma non troveranno scritto nulla del genere.

Il mitico 3%, infatti, non è scritto nel Trattato che nel 1992 fissò la coordinate della nuova Unione europea, bensì in un protocollo successivo che “desiderando precisare le modalità della procedura per i disavanzi eccessivi di cui all’articolo 104 C, paragrafo 2 del trattato”, fissa i valori del deficit a 3% del Pil e del debito pubblico al 60% del Pil.

Non c’è scritto però perché si sia arrivati a queste due cifre. E’ scritto così e basta.

Vi sembrerà una questione oziosa. Qualcuno penserà che sia frutto di chissà quale esoterismo economico. O magari crederete alla ricostruzione uscita qualche mese fa sulla stampa francese (Aujourd’hui-Le Parisien, 28 settembre 2012) secondo la quale l’invenzione del tetto del 3% del deficit si deve a un burocrate francese secondo il quale Mitterand aveva bisogno di una regola chiara e semplice per frenare le richieste di soldi (leggi deficit) dei suoi ministri e allora “senza alcuna riflessione teorica” si fissò il 3% perché, disse “è un buon numero, un numero storico che fa pensare alla Trinità”.

Vabbé, io amo le favole, però purtroppo mi hanno anche insegnato a fare i conti, che rendono la realtà assai più prosaica.

E poiché mi hanno insegnato che è sempre meglio approfondire, mi sono messo a tavolino e ci ho pensato un po’ su.

Come al solito, la risposta era davanti ai miei occhi. Come nella Lettera scarlatta, non c’è miglior modo per nascondere una cosa che rendendola visibile.

Così mi è apparso chiaro d’improvviso che 3 è il 5% di 60.

Questa percentuale – il 5% – è il numero magico della finanza pubblica europea.

Per capire perché, tuttavia, serve un po’ di noiosa contabilità pubblica.

Sappiamo che il saldo primario di un bilancio pubblico è uguale alla differenza fra le entrate correnti e le spese correnti nette, ossia al netto della somma pagata per gli interessi sul debito.

Sappiamo, di conseguenza, che la spesa corrente lorda include la spesa per gli interessi. Quindi se un paese ha un saldo primario nullo significa che il totale delle sue entrate copre tutte le spese e quindi l’indebitamento dell’anno è pari a zero. Quindi non ha fatto deficit.

Nella situazione ideale, perciò, un paese, non facendo deficit, non aumenta il debito pregresso, che perciò rimane fermo al livello fissato. Il famoso 60%, nel caso dell’eurozona.

Ma cosa significa se questo paese può avere un deficit pari al 3%?

In pratica vuol dire che le entrate dello Stato non coprono tutte le spese e che tale deficit può pesare al massimo il 3% del Pil.

Nell’ipotesi che il saldo primario sia uguale a zero, ciò implica che il deficit coincida esattamente con la spesa per interessi che lo Stato deve pagare per il servizio del suo debito.

Che è sempre il solito 3% del Pil.

Fin qua rimaniamo nel campo dei numeri fissati da chissà chi in sede di scrittura dei protocolli.

Più interessante è capira cosa sussumano questi numeri.

Definire un deficit massimo del 3% significa, l’abbiamo visto, fissare a questo livello la spesa massima per gli interessi sul debito di un paese. Nel caso dell’eurozona, questo implica che si sussume che il tasso di interesse che pago per remunerare il debito sia pari al 5%, se il mio debito è fissato al 60% del Pil.

Ma chi paga (a parte noi PIIGS) tassi così alti sul debito?

Un esempio aiuterà a capire. Mi scuso in anticipo per le inevitabili semplificazioni.

Il paese X dell’eurozona nell’anno Y ha avuto un Pil di 100 euro. Siccome è un paese virtuoso (sennò non sarebbe entrato nell’eurozona) il suo debito pubblico totale è di 60 euro.

Un anno dopo, il nostro paese ha fatto un deficit del 3%, che significa che ha pagato tre euro di interessi sul suo debito. Visto che il debito era di 60 euro, se ne ha pagato 3, vuol dire che tale debito è stato remunerato a un tasso del 5% e adesso il suo debito vale 63 euro.

Viene da ridere a pensare alla Germania o all’Olanda che pagano il 5% di tassi sui loro debiti.

Ma vabbé, andiamo avanti perché il meglio viene ora.

Siccome i trattati impongono al nostro paese un debito/pil sempre del 60%, il nostro paese si trova nella necessità, per non vedere aumentato il proprio debito, di chiudere l’anno con un pil almeno a 105. Infatti 105 diviso 63 fa 0,6, ossia 60%.

Quindi non solo si ipotizza che i paesi paghino il 5% sui loro debiti, ma anche che la crescita a prezzi correnti del Pil sia almeno pari al tasso d’interesse pagato sui debiti.

In pratica, forzando un po’ le cifre, il nostro paese ipotetico deve subire un tasso greco accoppiato a una crescita cinese.

Uno spettacolo, che è anche un programma (politico).

Tutto questo è stato scritto nel 1992 e non è stato più messo in discussione, entrando ormai di diritto nella dogmatica del dibattito europeo. Nel ’97, poi, su queste fondamenta è stato scritto il patto di stabilità, e da li si è arrivati ai giorni nostri.

Vale la pena rilevare che se anziché ipotizzare un tasso d’interesse al 5%, che forse era realistico ai tempi di Maastricht (ma non per la Germania) se ne ipotizzasse uno più vicino alla realtà, mettiamo il 2%, il nostro deficit non potrebbe superare l’1,2% del Pil.

Quindi nella logica di Maastricht, a tassi bassi devono corrispondere deficit bassi, per mantenere il debito stabile.

L’austerità è scritta nei trattati (anzi: nei protocolli) firmati da tutti.

Anche da quelli che oggi se ne lamentano.

Ora uno può chiedersi: ma perché il tetto del debito è stato fissato al 60% del Pil?

Accetto suggerimenti.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter