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Afghanistan, ecco perché l’immunità militare americana non convince Kabul

Le notizie sulla lettera formale di scuse degli Stati Uniti per gli errori compiuti in 12 anni di guerra in Afghanistan sono false, ha spiegato alla Cnn Susan Rice, consigliere Usa per la sicurezza nazionale. Delle presunte giustificazioni dell’amministrazione di Washington si era iniziato a parlare ieri, al termine dell’incontro tra il segretario di Stato americano, John Kerry, e il presidente afgano, Hamid Karzai. A parlare per primo della lettera con cui Obama si impegnerebbe a non ripetere gli errori del passato era stato il portavoce di Karzai.

LA MISTERIOSA MISSIVA
La missiva sarebbe dovuta essere inclusa nell’accordo bilaterale sulla sicurezza di cui la Loya Jirga convocata nella capitale afgana discuterà domani. L’assemblea che riunisce notabili e capi tribali dovrà dare il proprio parere sul documento da cui dipende il mantenimento di soldati statunitensi nel Paese – e fondi per la sicurezza stimati in 4 miliardi di dollari – anche dopo il ritiro delle truppe combattenti che sarà completato il prossimo anno.

TALEBANI CONTRARI
Il parere della Jirga non è vincolante. Alcuni senatori hanno contestato l’assemblea, i cui componenti non sarebbero, secondo il loro parere, qualificati per discutere questioni come la sicurezza nazionale. Contrari a ogni accordo sono i talebani che, sul sito dell’Emirato islamico, lo definiscono una forma per perpetuare i crimini contro il popolo afgano.

GLI ATTENTATI
Un’opposizione che nel fine settimana si è concretizzata con un attentato avvenuto sabato non lontano dal luogo in cui si svolgerà l’assemblea, che ha fatto almeno 13 morti, e il giorno seguente con il fallito attacco al governatore di Balkh. Due episodi, scrive Emanuele Giordana sul suo blog, che dimostrano “ancora una volta la debolezza politica dei talebani, ormai ridottisi a una puro gruppo terroristico con un impatto che, almeno nei due casi citati, può soltanto aver aumentato il numero di coloro che li detestano, visto che è incontestabile l’aumento di vittime civili nelle loro azioni”.

INTESE LONTANE
Quando manca un giorno all’apertura della Jirga per il sì all’intesa tra Kabul e Washington, continuano le trattative. Uno dei punti di frizione è la possibilità per i soldati Usa di compiere perquisizioni nelle case degli afgani. Ma a dividere le parti è l’immunità per le truppe statunitensi di stanza nel Paese. Su questo si gioca la permanenza a stelle e strisce post-2014 con funzioni di addestramento e sostegno alle forze locali.

I DETTAGLI DELL’ACCORDO
Sabato, Rangin Dadfar Spanta, consigliere del presidente afgano per la sicurezza, ha delineato quali dovrebbero essere i contenuti dell’accordo che avrà durata decennale e prevede che in Afghanistan restino dai 10 ai 16mila soldati americani. Gli Usa manterranno inoltre il controllo della base di Bagram, mentre piccoli gruppi di soldati saranno schierati nelle basi militari afgane. Senza accordo sull’impunità, Kabul si potrebbe tuttavia trovare davanti alla cosiddetta opzione zero, ossia al ritiro completo come avvenuto in Irak.

I NODI DA SCIOGLIERE
A complicare il raggiungimento di un’intesa affinché i soldati statunitensi che si macchieranno di crimini siano giudicati negli Usa ci sono violazioni e abusi come quelli documentati da una recente inchiesta di Matthieu Aikins per Rolling Stone. Il magazine ha svelato il presunto coinvolgimento di truppe statunitensi nella sparizione, nell’omicidio e nella tortura di cittadini afgani nel distretto di Nerkh a novembre del 2012. Fatti di cui sia l’esercito Usa, l’Isaf e il governo afgano sarebbero stati al corrente, ma per i quali sono serviti comunque mesi prima che si arrivasse a un’inchiesta.

PRECEDENTI PERICOLOSI
Come nota l’Afghanistan Analyst Network, se si esaminano casi precedenti in cui soldati Usa hanno dovuto rispondere di quanto commesso nel Paese non si può avere troppa fiducia in indagini future. In molti casi le indagini sono state chiuse troppo presto o rimandate. Altre volte non sono proprio state aperte.
Soltanto in pochi casi si è arrivati a un processo. Tra i più recenti quello del sergente Robert Bales, condannato all’ergastolo per il massacro di 16 civili a Panjwayi, o quello contro i componenti del cosiddetto kill team responsabile dell’uccisione di civili a Kandahar nel 2009, dei quali conservavano parti del corpo come trofei. Nel primo caso, nota Human Rights Watch, si è trattato di un atto perpetrato da un singolo. Nel secondo i responsabili sono stati condannati, ma chi nei comandi incoraggiò le loro azioni ricevette soltanto una lettera di ammonimento.

IL RUOLO DELL’ITALIA
Alla stipula dell’accordo con gli Usa è legata inoltre la presenza dei soldati Nato, tra i quali, come annunciato nei mesi scorsi dal segretario generale dell’Alleanza atlantica, dovrebbero esserci anche quelli italiani, impegnati in operazioni sostegno agli afgani.

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