Il destino, si sa, è cinico e baro. A volte, invece, è comico. Come spiegare altrimenti la curiosa vicenda che vede alcuni alfieri renziani o filo-renziani del Pd, come Ernesto Carbone e Francesco Boccia, impegnati in un ingegnoso progetto anti-Google.
L’idea è quella di costringere i miliardari-geek californiani a pagare il fisco per il fatturato pubblicitario, e sta impensierendo non poco i lobbisti di Google. I quali sono ora in difficoltà almeno per due ragioni.
La prima è che a lungo hanno rassicurato il proprio quartier generale: dal fronte italiano nessun pericolo sostanziale, le cose qui vanno per le lunghe e all’orizzonte ci sono solo lunghi quanto inconcludenti dibattiti parigini all’Ocse. Calma piatta, insomma.
L’ideale per starsene in panciolle e indulgere alle chiacchiere da salotto buono che piacciono tanto al gigante Carlo D’Asaro Biondo – capo europeo di Google – e ai suoi assistenti milanesi. La seconda ragione è che l’attivismo contro Google arriva dal fronte maggiormente sottovalutato, quello del Pd.
Un versante che Google pensava forse di presidiare, forte anche del recente innesto del giovane toscano provenienza Pd, Diego Ciulli, che si occupa di relazioni istituzionali del colosso di Mountain View, come ha scritto il quotidiano il Tirreno, ma che in Toscana non è mai stato considerato un renziano.