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Gli abiti da lavoro made in China sono sicuri?

Pubblichiamo l’articolo di Giulia Dedionigi apparso su KongNews, testata giornalistica online specializzata sui temi del lavoro, delle professioni, dei mestieri.

Vi abbiamo raccontato la storia dell’azienda Indutex che, alle porte di Milano, da oltre venti anni si occupa di produrre e studiare soluzioni innovative per gli indumenti legati alla sicurezza sul lavoro: camici per medici, ma anche tute per i Ris e scafandri per i vigili del fuoco. I prodotti Indutex sono confezionati per salvaguardare i lavoratori da qualsiasi agente nocivo per la salute dell’uomo.

“Dal settore farmaceutico a quello chimico e petrolchimico, fino a quello nucleare e spaziale sono molte le realtà lavorative che hanno bisogno di prodotti come i nostri”, mi spiega Paolo Rossin, che con la sua azienda, solo in Italia, rifornisce forze armate, Vigili del fuoco, Protezione civile, Polizia scientifica, alcune Asl e centri antiveleni. Senza contare la collaborazione americana con la Cia, i servizi segreti.

Oggi però, con una crisi economica che non ci siamo ancora lasciati alle spalle, aziende come questa che si occupano di sicurezza si trovano a fare i conti con prodotti sul mercato a basso costo che ‘allettano’ i compratori, ma che nascondono sul lungo termine delle brutte sorprese.

Made in China
“I prodotti importati da alcuni paesi emergenti – racconta Rossin – sono davvero molto simili ai nostri. Un occhio inesperto a prima vista fa fatica quasi a distinguere un indumento Indutex da uno ‘Made in China’. Peccato che poi comprando prodotti non sicuri si esponga un lavoratore a rischi di patologie, che magari non emergono subito, ma compaiono dopo alcuni anni. Pensiamo, per esempio, a cosa comporta la sovraesposizione all’amianto”.

La certificazione?
Ma andiamo con ordine. Spesso, spiega il proprietario della Indutex, i prodotti importati vengono presentati con una buona qualità e in base a quella viene dato all’agente la possibilità di commercializzare quel prodotto attraverso una certificazione. “Accade, però, – continua Rossin – che al capo sicuro presentato per esempio per la certificazione non corrisponda poi una produzione di massa di equivalente qualità. Così quello che arriva sul mercato europeo a buon prezzo ed esteticamente uguale a quello portato davanti alla certificazione, nasconde una lavorazione non corretta e quindi si rivela un prodotto pericoloso per la salute”.

Responsabilità penale
“Come imprenditore – racconta il patron di Indutex, che è nel team della Commissione Europea per la normazione dei prodotti d’importazione – sono penalmente responsabile dei miei prodotti. Ma se si ammala un lavoratore che ha indossato una tuta che proviene dalla Cina, come si fa a rintracciare l’azienda su quel territorio? E’ impossibile e questo spiega anche la mancanza di scrupoli di alcuni produttori”.
Non è un caso se il 25% dei dipendenti Indutex è impiegato al controllo qualità. “Sembra che il mercato ora inizi a comprendere i rischi di scelte avventate, che guardano solo al costo della merce – spiega Rossin -. Noi cerchiamo d’informare la nostra clientela, ma non nascondo che in questi anni abbiamo anche perso una buona fetta di mercato”.

Prodotti cinesi in Italia
Secondo il proprietario della Indutex, i prodotti cinesi in Italia sarebbero circa il 35-40%: “Il Made in China si sta sempre più espandendo, ma le caratteristiche degli usa e getta che arrivano dai paesi emergenti non sono conformi alla nostra richiesta di protezione”. I consigli di Rossin, per i responsabili della sicurezza delle aziende italiane, sono di non guardare al prezzo, ma ai certificati e al valore aggiunto dei prodotti, facendo attenzione alle importazioni da Cina, Cambogia, India e Vietnam: “Chi produce in Cina che deontologia segue? Bisogna informarsi su questo prima di comprare. Spesso si sceglie conoscendo l’importatore, ma bisogna anche guardare all’azienda che produce. Anche alcune grandi aziende nostre dirette concorrenti omettono la scritta ‘made in China’ e mettono il loro logo senza specificare il paese in cui è stato prodotto”.

Una proposta
Rossin, che assembla i suoi prodotti in Italia ma produce anche in Romania, avanza una proposta importante: “Dovremmo pensare al marchio ‘made in Europe’, che ad oggi non esiste” e che aiuterebbe a tener bassi i costi della produzione, “salvaguardando la qualità”.

di Giulia DedionigiKongnews.it

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