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Matteo Renzi e “l’uomo senza qualità”

La levata di scudi dei candidati alla guida del Pd poteva prevedersi, ma non nei toni usati da Renzi, Cuperlo e Civati, che paiono annunciare le imminenti esequie del governo Letta. I candidati, sentendosi ormai padroni del principale partito di governo, non vanno per il sottile, non ricorrono a fariseismi diplomatici. Dicono papale papale che essi sono contro le grandi intese (perché il popolo rosso non li vuole); sbugiardano le intese strette (considerandole un succedaneo opportunistico delle grandi); chiedono a gran voce tutti un ripulisti generale: nel partito, nelle rappresentanze governative, in quelle istituzionali che tutti si propongono di modificare con un radicalismo senza precedenti sia alla camera che al senato.

Dalla rottamazione programmatica di Renzi, che pareva uno slogan sessantottino gustoso e giovanilistico, siamo passati al concreto proposito di smantellare l’intera sinistra com’è; e di trasformarla in un partito senza alleanze, di lotta e di governo: che era poi quello che Palmiro Togliatti aveva voluto costruire dal 1944, su ordine di Stalin, per occupare il potere ma contestualmente manifestare in piazza i governi nei quali i ministri comunisti erano sistematicamente insofferenti alla collaborazione forzosa coi partiti democratici.

Nella fase calante della Repubblica di Weimar e dell’avvento di Hitler, uno scrittore austriaco contrario agli estremismi, Robert Musil, scrisse un libro, L’uomo senza qualità, nel quale descrisse la crisi dell’intellettualità austro-ungherese e mitteleuropea in genere, e denunciò il fallimento di generazioni di politici che si cacciavano l’un l’altro promettendo l’immediata fine di quei mondi attraverso una reazione radicale da parte di inesperti e non collaudati giovani politici: che lo scrittore riteneva fossero inidonei a cambiare in meglio, non possedendo le qualità minime necessarie ad evitare pericolose avventure. Come, purtroppo, sarebbe accaduto presto in quelle langhe. Personalmente lasciò Vienna nel 1933 trasferendosi a Ginevra, pur non appartenendo a nessuna delle categorie dei fuorusciti: i politici e gli ebrei. Alla domanda perché avesse abbandonato l’Austria per la Svizzera, rispose: “Per una ragione molto semplice, i miei lettori e critici erano quasi tutti ebrei. A poco a poco in questi ultimi anni, essi sono partiti tutti, che ci rimanevo a fare da solo?”.

I giovani-vecchi che s’accingono ad assumere con piglio decisionista e senza fare prigionieri il potere possibile di una sinistra diventata frontista (cioè senza nemici alla propria sinistra) e golosa di governi centrali e locali, certamente non hanno letto Musil (che scrisse anche un altro volume, Del sentire cattolico). Ma la storia del Pci, delle lotte per la libertà e della democrazia combattuta da uomini con qualche qualità, dovrebbero averla per lo meno orecchiata. Ci riflettano un attimo quegli avanguardisti odierni. Potrebbero trovare spunto per darsi una calmata, abbandonare la presunzione di essere dei nuovi messia e mettersi alla stanga (come diceva De Gasperi agli insofferenti dossettiani), per fare meno danni di quanti ne promettono o derivano dalla loro strabordevole vogliosità di potere spicciolo.

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