Signori, affrettatevi perché il carro è ormai stracolmo e fra poco ci saranno solo posti in piedi.
Eh sì, il carro del vincitore in pectore delle primarie del Pd, Matteo Renzi, è sempre più ambito. Oggi è il turno di Carlo De Benedetti. Il patron del gruppo Espresso-Repubblica, la corazzata editoriale che da anni cerca di dettare la politica ai politici, ha un nuovo idolo: il sindaco di Firenze che anche De Benedetti s’impegna a far diventare sindaco d’Italia.
A dir la verità, leggendo con attenzione la Repubblica, da tempo gli osservatori avevano notato un tasso crescente di renzismo nel quotidiano diretto da Ezio Mauro. E pure le ultime prese di posizione del quotidiano, come la richiesta di dimissioni rivolta al ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, portava l’acqua pre-elettorale al mulino anti Letta di Renzi.
Non tutti, comunque, nel quotidiano debenedettiano si sbracciano per Renzi. Domenica il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, dopo un paio di cortesi parole di apprezzamento per il giovane Renzi ha scritto: io non lo voto alle primarie.
Ma l’endorsement del capitalista De Benedetti è solo l’ultimo dei sostegni palesi, per non parlare di quelli non evidenti, che autorevoli esponenti dell’establishment rivolgono verso quel Rottamatore che dice di voler frantumare l’establishment banco-finanziario-industriale che ha contribuito al declino dell’Italia.
Così, nella guerra dichiarata al vecchio e decrepito sistema, Renzi può contare su noti antagonisti di quel sistema come Alberto Nagel, alla guida della cucciana Mediobanca. Nagel, agli occhi di Renzi, come dichiarato apertamente in una paginata di intervista al noto giornale anti establishment qual è il Corriere della Sera, ha contribuito al disfacimento del patto di sindacato che governava Rcs Mediagroup. Quello stesso Nagel che è stato l’architetto dell’accrocchio, ovviamente poco sistemico, Unipol-Fonsai. Non solo Nagel, comunque.
Seppur altalenante, il rapporto di stima reciproca fra Renzi e Diego Della Valle comunque è notorio. D’altronde, come si fa a non trovare un comune sentire con l’imprenditore che ha un piede nella Fiorentina, si sgola contro i furbi vecchietti della finanza italiana come Giovanni Bazoli e cerca di frantumare le scatole cinesi del capitalismo italiano?
Un “renziano” in pectore è da ieri anche Gian Maria Gros-Pietro che, da presidente del consiglio di gestione di Intesa, ha annunciato urbi et orbi dal Corriere della Sera che la banca presieduta da Bazoli non sarà più di sistema. Proprio quello che professava Enrico Tomaso Cucchiani, l’amministratore delegato di Intesa poi defenestrato con sommo giubilo degli azionisti italiani e del top management di estrazione bazolian-passeriana.
Ma nel mondo della finanza Renzi può senz’altro contare, oltre al caimano Davide Serra e a Guido Roberto Vitale – che ha discettato in mille salotti, compreso quello di Nichi Vendola apprezzato forse nelle sue magioni pugliesi al fresco di Cisternino (Brindisi) – anche sul numero uno delle Assicurazioni Generali, Mario Greco, elogiato dal sindaco di Firenze sempre nella sua intervista al Corriere. Meno note, ma non meno veritiere, le sue conversazioni con Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e uomo forte della galassia Benetton.
Ovviamente una personalità alla Palenzona non si espone alla Leopolda, dove hanno fatto bella mostra i Cucinelli, i Guerra, i Farinetti. Mentre è sempre nell’ombra un altro uomo-chiave, ovvero il “Gianni Letta” di Renzi: Marco Carrai, che cura le relazioni con poteri forti e meno forti, tra cui anche la Compagnia delle Opere, come ha sottolineato un recente articolo del settimanale l’Espresso. Ovviamente senza malizia e acredine, viste le dolci parole oggi proferite verso Renzi dal patron del gruppo l’Espresso.