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Ognissanti, Pio XII e lo Yad Vashem

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Un po’ di impegno, nella “Giornata per la santificazione universale” di oggi, andrebbe a mio avviso rivolto anche a dare un proprio contributo a “santificare” chi santo già lo è stato. Parlo del Servo di Dio Pio XII (1939-1958), del quale attendiamo da anni la beatificazione, ostacolata dall’opposizione di alcuni ambienti ebraici ancora legati alla leggenda nera dei “silenzi” di Papa Pacelli durante la Shoah. Ebbene, passi avanti da questo punto di vista sono stati compiuti anche recentemente, essendoci stato ad esempio un ulteriore ripensamento su di lui da parte dello Yad Vashem, cioè il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Già l’omonimo Istituto Internazionale di Ricerca dell’Olocausto, l’8 e il 9 marzo 2009, aveva organizzato sempre a Gerusalemme, in collaborazione con il locale Studium Theologicum Salesianum, un importante workshop intitolato proprio “Il Papa Pio XII e l’Olocausto. L’attuale stato degli studi”, valorizzando le documentazioni e gli studi contrari alla tesi del “silenzio” del Papa durante lo sterminio degli ebrei.

In occasione dell’ultima mostra allestita nel settembre scorso a Gerusalemme, lo Yad Vashem è ancora una volta tornato ad affrontare il tema del rapporto tra Pio XII e la Shoah (personalmente me ne sono occupato nel libro Il Magistero di Pio XII e l’ordine sociale, pubblicato nel 2012 dall’editrice Fede & Cultura, con una Prefazione di Francesco Mario Agnoli – cfr. pp. 13 e ss. –). Confermando il risultato del dibattito storiografico che ha portato nel 2012 alla riformulazione del contestato pannello dedicato a Pacelli nel percorso museale – che non porta più il titolo «Pio XII e l’Olocausto» ma «Il Vaticano e l’Olocausto» e, nelle prime righe, ha omesso la frase secondo la quale il concordato tra Santa Sede e Germania del 1933 «significò riconoscere il regime razzista nazista» – il Museo dell’Olocausto finalmente ammette che Pio XII era perfettamente a conoscenza del fatto che conventi e monasteri aprirono le porte agli ebrei.

La mostra in questione, intitolata «Sono io il custode di mio fratello», è stata inaugurata in occasione dei sessant’anni dall’istituzione dei Giusti tra le nazioni, il riconoscimento che a Gerusalemme viene assegnato a quanti durante la Shoah misero a rischio la propria vita per salvare quella di alcuni ebrei, avvenuta nel 1953. Ripercorrendo alcune storie emblematiche fra quelle degli ormai quasi 25 mila Giusti riconosciuti dallo Yad Vashem, essa dedica una sezione apposita agli uomini delle Chiese cristiane (di tutte le confessioni) che «rischiarono la propria vita per salvare gli ebrei ed alzarono la voce contro il loro sterminio».

Sul tema del rapporto tra i pregiudizi antiebraici e l’antisemitismo nazional-socialista, la mostra sostiene che «anche se l’antisemitismo razzista dei nazisti fu un fenomeno diverso rispetto al tradizionale antigiudaismo cristiano, si fondò comunque sui pregiudizi esistenti».

Nel complesso, pur continuando a dare conto nella presentazione ed in alcuni passaggi delle didascalie della mostra alle residue polemiche infondate sull’operato di Pio XII (peraltro in questo caso non citato espressamente), la mostra sui Giusti offre comunque al visitatore dello Yad Vashem «alcuni elementi nuovi che possono aiutare a comprendere i termini di un dibattito che – nel pannello rivisto nel 2012 – per forze di cose resta solamente enunciato» (Giorgio Bernardelli, Pio XII, la Chiesa e gli Ebrei: Yad Vashem rivede il suo giudizio, in Zenit, 21 settembre 2013).


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