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Parisi spiega perché Renzi non ha stravinto le primarie

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’intervista di Goffredo Pistelli apparsa su Italia Oggi.

«Arturillo», come lo chiamava affettuosamente Francesco Cossiga, suo antico e combattuto amico, è uno di quelli che è stato con Matteo Renzi fin dalla prima ora, anche quando era un po’ sconveniente nel suo partito, il Pd. Arturo Parisi, classe 1940, sardo di adozione, fondatore dell’Asinello, ulivista e prodiano antemarcia, non ha dovuto fare salti sui carri un po’ last minute: lui era alla Leopolda del 2011, dove fece un intervento appassionato, raccontando di come, nei giorni prima, gli chiedessero «che vai a fare tu?» e di come lui rispondesse: «Perché là si parla di futuro».

Due anni dopo, quel futuro non è più anteriore ma è diventato presente.

Domanda. Professore, Renzi ha vinto il congresso degli iscritti: quasi uno su due ha scelto lui. Chi ha perso, secondo lei, oltre ai singoli candidati?

Risposta. Diciamo intanto che quello che i media continuano a chiamare con l’antico nome di congresso è poco più di una semplice conta. A differenza del passato, le somme dei voti che leggiamo sui giornali non hanno infatti alle loro spalle confronti, nei quali, chi era per un candidato abbia avuto la possibilità di dire la sua perché e, meno che mai, abbia cercato di conquistare altri alle sue ragioni.

D. E questo che cosa ha comportato?

R.Questo ha evitato di dover spiegare perché iscritti che oggi sostengono Renzi, appena qualche mese avevano sostenuto Pier Luigi Bersani e soprattutto di dover riconoscere di aver cambiato di fronte solo perché di fronte aveva cambiato il suo capofila locale al seguito anche lui di un altro capofila lontano.

D. Quindi chi ha perso?

R. Innanzitutto il partito, il «Partito» con la «P» maiuscola. Nonostante che, nel 2009, Bersani fosse sceso in campo e in questi anni sia rimasto in campo in nome di un partito denso, di un partito comunità politica, contro il partito effimero dei gazebo, quello che vive solo di elezioni e per le elezioni, essere iscritti al partito non significa altro che aver diritto a votare una volta di più. Le assemblee fumose, rischiarate anche nelle notti più buie dal «Sol dell’avvenire», sono ormai nell’oggi una impostura o, per il passato, un remoto ricordo. Chi fosse alla ricerca del sentire politico è meglio che si tenga lontano dai circoli.

D. La politica è altrove, insomma

R. Sia che si pensi al varo o al futuro del governo attuale, sia che si guardi alla legge di stabilità e ai suoi intricati nodi dall’Imu e alle pensioni, sia che si ragioni sull’Europa e sul nostro posto nel mondo. La politica sembra ormai trasmigrata altrove, attratta e spinta fuori dalle vecchie mura, nei talk show e sulla rete. Questo per la qualità.

D. E per la quantità?

R. Quanto alla quantità, parlano poi per tutti i numeri, anzi forse un numero solo. La partecipazione al voto crollata a non molto più della metà al voto degli iscritti nel 2009. Anche se annunciata dall’inarrestato calo del tesseramento e accompagnata dalla fuga dalle urne che nella sola Basilicata, quella che i sociologi politici americani celebravano come l’Emilia del Sud, scendeva nelle stesse ore al 47% dei votanti. Sono questi i veri dati da leggere. Non fosse che per chiederci se è la parte di Gianni Cuperlo che ha perso di più, o se Renzi ha vinto solo perché ha perso di meno.

D. Ma per stare sulla «conta», gli sconfitti insistono sul fatto che Renzi non abbia esattamente la maggioranza e che, se l’8 dicembre dovessero votare meno di 2 milioni di elettori ai gazebo, sarebbe un segretario dimezzato. Che ne pensa?

R. Non sappiamo ancora di quanto Renzi abbia realmente vinto. Quanto la sua vittoria sia figlia di una maggiore tenuta, e quanto debitrice dei soccorsi che arrivano alla fine ai vincitori. Quello che invece è fuori discussione è che gli altri hanno perso. Innanzitutto perché hanno perso gran parte dei voti che consentivano alla «ditta» di considerarsi padrona. Ma soprattutto perché la loro idea di partito, quella che dava fondamento alla loro pretesa di comando, non solo ha perso ma si è dimostrata definitivamente perdente. Non era Renzi, non è Renzi l’avversario di Cuperlo, ma la storia.

D. Avversario difficile, allora

R. Di certo l’avversario più difficile: nonostante la generosità con la quale Cuperlo ha guidato la riscossa e la nitidezza con la quale ha difeso la sua idea di partito e di democrazia. Basta interrogarsi sui quattro anni persi proprio da una segreteria che si diceva ispirata dalle stesse idee di Cuperlo. Basta ritornare con la mente ai manifesti con un Bersani in maniche di camicia che inneggiava al collettivo contro la personalizzazione della politica.

D. In un contesto simile la parola scissione non risulta più improbabile come un po’ di tempo fa…

R. Mi è più facile a questo punto pensare a una implosione, del tipo di quella che seguì alla fine della Dc. Ma scissione proprio no. Se qualcosa in questi anni è accaduta è una mescolanza reale. Se par troppo «fusione», diciamo «confusione». Il susseguirsi degli eventi, delle conte, dei voti, a una cosa è servita: a moltiplicare le divisioni. A moltiplicarle e a complicarle. E le sempre nuove divisioni volta a volta prodotte nel loro sovrapporsi hanno rimescolato le componenti impedendo ormai la loro ricomposizione.

Leggi l’intervista completa su Italia Oggi

 



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