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Progettare il futuro dimenticando i numeri primi/2

“Il futuro è in noi molto prima che accada”
Rainer Maria Rilke

Ma come fare? Con quali strade, quali percorsi superare il crinale impervio della crisi e dei numeri primi? Al di là delle ricette economiche in senso stretto, insisto sul fatto che è necessario un salto di paradigma culturale. L’unica strada percorribile per il pieno conseguimento di questo obiettivi è quella della meritocrazia e della libertà di competere attraverso la valorizzazione della professionalità, della conoscenza e della concorrenza.

Dobbiamo stare attenti: un Paese che seleziona la propria forza produttiva sulla base delle “conoscenze”, e non della conoscenza intesa come capitale intellettuale concorrenziale, determina il declino progressivo del contributo produttivo che ciascuno è in grado di dare. Se l’accesso dei giovani alle varie attività viene precluso con meccanismi diversi da quelli di una imparziale ed accurata selezione del merito si introducono nella società, come ricordavamo qualche giorno fa su queste pagine, rigidità sociali che ricadono prevalentemente sulle fasce più deboli della stessa società.

Ma il nostro futuro, è bene ripeterlo, dipende dai giovani. Siamo il Paese che ha, nel contempo, la vita media più alta ed il più basso tasso di natalità dell’emisfero occidentale. I giovani sono merce rara e di alto valore più che altrove: li dovremmo tenere in grandissima considerazione. E, considerato che il futuro riguarda tutta la nazione, non esiste migliore terreno per iniziare a compiere uno sforzo di condivisione di obiettivi da parte dell’intera classe dirigente di questo Paese.

Iniziare a pensare oggi al futuro significa avviare un percorso di sviluppo di lungo periodo che consenta ai giovani di crescere, distribuendo i sacrifici nel tempo nell’ambito di un’economia più competitiva che generi maggiore sviluppo e nuovi e migliori posti di lavoro.

In realtà, ciò che è mancato in passato è stato un adeguato sistema di welfare della conoscenza, un piattaforma in grado cioè di consentire ai giovani lavoratori ed ai giovani professionisti un processo che non sia quello non più sostenibile di produzione di certezze (sempre che ci sia mai stato) ma almeno sia sorretto da una piattaforma di riduzione delle incertezze.

Non più il posto fisso, ovvero un traguardo non coerente con i processi di sviluppo del presente e del futuro, ma un diverso orizzonte di continuità professionale che veda la possibilità di alternare diverse modalità di lavoro (dipendente, professionale, imprenditoriale, autonomo) legandole con momenti di formazione continua. Tutto ciò per offrire ai giovani l’opportunità di maturare competenze diverse che gli consentano di superare i periodi di transizione da un lavoro ad un altro con la serenità di chi possiede un capitale proprio che potrà essere valorizzato nel tempo. Veri e propri capitalisti intellettuali.

Una sfida difficile per i giovani stessi e soprattutto per la classe dirigente che la deve implementare senza la certezza di vederne gli effetti. Ma, come diceva Platone, ciò che è bello è più difficile e, dunque, non dobbiamo dimenticare che il vero motore della vita di ognuno di noi, ma soprattutto di chi ha davanti a sé un’esistenza intera da portare avanti, sono gli ideali e la fiducia che può essere riposta in essi. È vero, ci sono ostacoli strutturali da superare. Ma la fiducia e la motivazione riposte nel raggiungimento di un obiettivo alto possono consentire di fare grandi passi in avanti. Al di là della crisi e della solitudine dei numeri primi che la descrivono.

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