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Regione Lazio ed Enoteca Palatium, gozzoviglio dunque spreco

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori l’articolo di Cesare Maffi apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Se si volesse documentare il perverso sistema degli enti pubblici di creare società pubbliche, che poi generano altre società pubbliche, senza alcun costrutto che non sia quello di recare costi ai privati contribuenti, l’esempio fornito dall’Enoteca laziale Palatium, facente capo alla regione Lazio, parlerebbe da sé. Il bubbone è scoppiato perché reso noto dal commissario straordinario all’Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio), Antonio Rosati, nel corso di una conferenza stampa alla presenza dello stesso presidente regionale, Nicola Zingaretti.

LE ORIGINI DELLA VICENDA

La vicenda è lineare, quanto a eventi. Riguarda un immobile già in capo a un’istituzione pubblica di assistenza, finito in proprietà alla regione Lazio, nel cuore di Roma. Si trova in via Frattina, a metà fra piazza di Spagna e piazza Colonna, in zona sempre citata per gli elevati canoni commerciali. Ivi operò per decenni, al pianterreno, un bar, con indubbio favore di pubblico. Dopo anni di disinteresse, la regione finalmente si decise a rimettere a valori di mercato i canoni scarsamente introitati. Il livello miserrimo era di 2.800.000 lire il mese, la richiesta di adeguamento fu di dieci volte tanto, cioè 28 milioni e 800mila lire. Le resistenze dell’esercente il locale (chiedeva di tenere basso il canone, col pretesto di «dare lavoro a tanti dipendenti») sfociarono nello sfratto, dopo di che passarono anni, prima di decidere la nuova destinazione.

L’ANOMALIA

Quale sarebbe stata la scelta più logica? Alienare l’immobile. Altrimenti, metterlo a frutto, locandolo a canoni di mercato, stante l’altissima appetibilità commerciale della via. Viceversa l’Arsial costituì una società, l’Enoteca laziale Palatium, che aprì un ristorante su due piani, formalmente per «valorizzare e promuovere l’immagine dei prodotti agricoli e agroalimentari tipici della tradizione regionale, in particolare la migliore produzione enologica». Ora, a parte alcune specifiche accuse rivolte agli amministratori precedenti, come quella di assommare le cariche e relative prebende di presidente sia dell’Arsial sia dell’Enoteca; a parte l’uso poco commendevole di centinaia di pasti offerti, ufficialmente per rapporti istituzionali; sono venute fuori riserve non da poco. Si sono denunciate le chiusure estive poco propizie, data la presenza di turisti, ai quali (teoricamente) sarebbe destinata la propaganda dell’Enoteca (di fatto, un ristorante poco distinguibile dai tanti altri presenti in zona). Sono stati lamentati costi elevati per il personale. Poco apprezzata pure la gestione scarsamente ordinata del magazzino.

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