Un recentissimo sondaggio Swg per il “Corriere della Sera”, muovendosi in controtendenza rispetto alle narrazioni correnti sui media grandi e piccoli circa l’andamento della politica italiana, ritiene che, se si votasse oggi, alla vigilia del voto del senato sulla decadenza di Berlusconi e dopo la scissione del Popolo della libertà tra Nuovo centrodestra e Forza Italia, il centrosinistra otterrebbe complessivamente il 32,9 per cento dei suffragi, il centrodestra il 37,0, cioè la maggioranza, con uno scarto in più del 4,1 per cento.
Un secondo elemento di rilievo emerge dal sondaggio Swg: il governo Letta, che il 10 maggio, appena costituito, godeva del 39 per cento della fiducia dei cittadini, già il 19 luglio era sceso al 27 per cento, per risalire al 31 il 29 agosto e, da allora, progressivamente ridiscendendo sino al 21 del 30 ottobre; per quindi risalire al 24 il 7 novembre, perdere due punti il 14 novembre e riconquistare quota 26 il 21 successivo, cioè con un modesto guadagno di popolarità nel volgere di una settimana.
Ricapitoliamo. Il sondaggio indica che il centrodestra sarebbe in crescita malgrado le scissioni recenti (che addirittura gli farebbero guadagnare un 2,4 in più) e distanzierebbe non di poco lo schieramento che occupa tutti i vertici istituzionali, la guida del governo e detiene la maggioranza dei ministri. Quanto all’esecutivo Letta, dopo un inizio non brillantissimo, ma in ogni caso ragguardevole, oggi esso sarebbe gradito da poco più di un quarto degli italiani, che non è proprio un bel segnale.
Un successivo sondaggio della Emg diffuso dal Tg La7, e condotto con un altro metodo di rilevazione, conferma la tendenza indicata dalla Swg: centrodestra in testa, seguito a distanza, ma non siderale, dal centrosinistra; è più dettagliato di quello esposto dal «Corriere»; e da questo sostanzialmente si distingue quanto alla somma fra astenuti, schede bianche e indecisi: che calcola rispettivamente al 33,6, al 2 e al 14,9 per cento per un totale del 48,5 per cento, mentre la Swg indica complessivamente un 40 per cento. Entrambi i sondaggi considerano il numero di elettori che non si pronunciano per alcuna formazione molto più alto dei consensi conseguiti dalle coalizioni antagoniste.
Dietro questi numeri, se l’attenzione maggiore dei media è ossessivamente rivolta alle beghe intorno e dentro il berlusconismo, la realtà è che la lotta per il potere interno al Pd – il partito di occupazione sistematica delle istituzioni – vede tutti i candidati alla segreteria esprimere non solo malcontento, bensì aperta avversione per il ministero guidato da Enrico Letta, già vicesegretario del Pd, con una progressione di prese di distanze destinata a consolidarsi in vista delle primarie dell’8 dicembre.
Il minacciato passaggio di Forza Italia all’opposizione parlamentare, verosimilmente formalizzabile dopo il voto al senato sul suo leader e fondatore, indubbiamente in qualche modo spiega la fragilità dell’ese¬cutivo in carica. Ma, a prospettarne la liquidazione, non è l’irritazione o la protesta berlusconiana, quanto piuttosto la precisa e dichiarata volontà di Renzi, Cuperlo e Civati (con relativi supporter parlamentari in marcata maggioranza nei gruppi del Pd) di abbandonare il più presto possibile sia le grandi intese, sia le intese strette coi ministri di Ncd e Scelta civica residua.
I sondaggi hanno la loro logica e la loro giustificazione, ma possono cambiare con l’evolversi delle situazioni generali. Tuttavia la strada che ha imboccato il Pd, chiunque prevalga fra i candidati, è segnata. E non suona campane a festa per Letta.
Giovanni Di Capua