Uno dei nodi importanti per le sorti della finanza pubblica italiana è costituito dall’andamento
dei tassi d’interesse. Dato il livello elevato del nostro debito pubblico, riduzioni dei tassi
d’interesse pagati dallo Stato hanno conseguenze sulla spesa per interessi e quindi determinano
il livello del deficit pubblico; inoltre, una situazione distesa dal punto di vista finanziario
potrebbe favorire la ripresa dell’economia e quindi indirettamente assecondare il miglioramento dei conti pubblici.
SPREAD E TASSI DI INTERESSE
Nelle ipotesi del DEF lo spread è atteso scendere molto: questa ipotesi, benevola, è comunque compensata da una valutazione allo stesso tempo prudenziale circa il livello della spesa
per interessi. Di fatto, se davvero lo spread scendesse a 100 punti base, ne potrebbero anche
derivare risparmi di spesa rispetto alle attese del Governo.
L’andamento dei tassi d’interesse interni riflette tanto l’evoluzione dei rendimenti tedeschi,
quanto lo spread che remunera il nostro rischio paese. Il basso livello raggiunto dai primi spiega
oggi il maggiore livello dello spread rispetto al 2011, essendo i tassi a lunga italiani ritornati in
prossimità dei livelli pre-crisi. Il contesto attuale vede ancora molte incertezze all’orizzonte,
che rendono possibile il mantenimento di tassi d’interesse molto bassi da parte della nostra
banca centrale ancora per molti anni, ma al costo probabilmente di una crescita molto lenta non
esente da rischi di deflazione, per i paesi della periferia.
MIGLIORAMENTI SUL DIFFERENZIALE
Guardando all’andamento dello spread, è palese che la situazione è molto migliorata a partire
dall’estate del 2012, da quando cioè la Bce ha rafforzato la propria politica a supporto dei
paesi della periferia europea. Naturalmente, il ruolo decisivo giocato dalla banca centrale
non ridimensiona l’importanza delle politiche di austerità, essendo queste state una precondizione
al cambiamento nell’impostazione della politica monetaria europea. Nel corso degli ultimi mesi l’attenzione è stata attratta anche dall’andamento dello spread fra i tassi italiani e spagnoli. Tale indicatore del posizionamento relativo delle due economie riflette la diversa opinione dei mercati circa il grado di rischio dei due paesi, e quindi in una certa misura consente di apprezzare quanto del nostro grado di rischio rifletta le condizioni generali, l’evoluzione della crisi internazionale e le politiche europee, piuttosto che fattori di natura domestica.
LE SORTI COMUNI DI ITALIA E SPAGNA
Per misurare in che modo le sorti dei due paesi siano in una certa misura collegata fra di loro, si osserva la correlazione fra i tassi italiani e spagnoli, su un periodo mobile di 60 giorni. Quando il valore della correlazione è pari a 1 l’indicatore implica che i tassi si “muovono insieme” (non che sono uguali); quando il valore è -1 significa invece che vanno in direzione contraria. Nel 2013 la correlazione crolla in due occasioni: a fine marzo, nei giorni successivi all’esito elettorale e durante la tormentata fase del voto al Presidente della Repubblica, e a settembre nella nuova fase di crisi politica. Appare evidente che nell’ultimo periodo tutte le volte che l’Italia si disallinea dalla Spagna è per effetto dell’instabilità politica più che per fattori direttamente di natura economica. D’altra parte l’Italia si scosta relativamente dalla Spagna all’interno di una fase comunque positiva. Lo abbiamo visto esaminando lo spread, e possiamo ancora sottolinearlo guardando alla correlazione fra i nostri tassi e quelli tedeschi, che sta tornando rapidamente su livelli positivi.
Nella fase più acuta della crisi la correzione era prossima a -1 a segnalare come della nostra crisi (cui corrispondevano tassi in aumento) si accostava un fl ight to quality verso la Germania (cui corrispondevano tassi tedeschi in discesa). L’evoluzione dell’ultimo anno mostra dunque come per massimizzare il rendimento delle politiche di austerità non basta aumentare la stretta fi scale e ribadire l’obiettivo del pareggio di bilancio. Occorre anche che la situazione politica interna trovi un equilibrio che, aumentando la credibilità di quell’impegno, ci consenta di massimizzare i benefici dell’austerità via minore spesa per interessi. Una riduzione ulteriore dello spread potrebbe realisticamente portare a una minore spesa per interessi di 4-6 miliardi, un sollievo apprezzabile in una fase difficile come quella in corso.