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Termovalorizzatori. Quanto siamo distanti dal nord Europa

L’ultima novità arriva dal nord Europa. Nel 2016 a Copenaghen sarà inaugurato il termovalorizzatore progettato da Bjarke Ingels, architetto giovane, famoso e pluripremiato. Ma la novità è che su quel termovalorizzatore, Amager Bakke, la gente andrà a sciare. Sì, perché il progetto prevede la realizzazione sul tetto di un impianto a 3 piste – di cui una nera – che si estenderanno su una superficie totale di 31mila mq. E mentre la gente si divertirà sciando, l’impianto funzionerà e produrrà energia dai rifiuti prodotti dalla città: la capacità prevista è di 418mila tonnellate, abbastanza per riscaldare circa 140mila appartamenti. Una pacchia per gli amanti dello sci e una riprova, se ancora ce ne fosse bisogno, del gap culturale che ci separa dal nord Europa. Potremmo aggiungerne altri, di esempi. Potremmo citare il caso delle due cittadine svedesi, Oskarshamn e Östhammar, che si sono contese, per sette anni, la possibilità di ospitare il deposito delle scorie nucleari dei 10 reattori attivi in Svezia.

I numeri in Europa

O potremmo raccontare come funziona il quartiere di Hammarby Sjöstad, a Stoccolma, che ha messo a punto un sistema di gestione dei rifiuti così raffinato, coerente, radicale, che parte dalla raccolta differenziata e arriva alla termovalorizzazione e al recupero dei liquami domestici, da diventare di fatto energeticamente autonomo, affiancando a tutto questo la produzione di energia idroelettrica e solare. Potremmo più semplicemente citare il numero di termovalorizzatori in funzione in Europa. Secondo lo studio realizzato nel 2012 da Frost & Sullivan, l’anno scorso erano 480 gli impianti in funzione nei Paesi europei, per lo più di capacità media, con un input di 39,4 Mt di rifiuti solidi urbani. La sola Germania smaltisce attraverso la termovalorizzazione oltre il 50% dei rifiuti prodotti.

Italia vs Nord Europa

Che cosa separa l’Italia dal nord Europa, dove vediamo realizzati i sistemi più avanzati di gestione del ciclo dei rifiuti? Il gap è tutto culturale: ci separano tonnellate e tonnellate di cultura e informazione. Il contesto normativo in cui questi Paesi si muovono, infatti, è lo stesso cui facciamo riferimento noi: è l’Europa a indicare limiti delle emissioni, procedure, modalità di trattamento. Le tecnologie impiegate sono quelle che le nostre stesse multiutilities utilizzano, su cui sappiamo fare ricerca ad alto livello, di cui possediamo know how e competenze. Non c’è scarto su questi fronti: stesso orizzonte e stesse tecnologie.

Perché in Italia si protesta

Eppure, in Italia i termovalorizzatori sono stabilmente in vetta alla classifica degli impianti più contestati. I dati delle diverse edizioni dell’Osservatorio Nimby Forum, che monitora proprio le contestazioni territoriali alla realizzazione di impianti infrastrutturali di vario genere, registrano un trend negativo costante: il 28% circa degli impianti oggetto di contestazioni riguardano proprio il trattamento dei rifiuti. Il più delle volte si tratta di proteste dal carattere ideologico, fondate su pregiudizi e su informazioni confuse, contraddittorie, quando non palesemente sbagliate, messe insieme navigando in rete, senza avere la capacità di valutare e discernere tra fonti e attendibilità delle informazioni, senza che al progetto specifico, ai dati tecnici e alle valutazioni degli esperti sia dato non solo credito, ma perfino semplicemente ascolto. Insomma, un caotico patchwork d’informazioni tenuto insieme da una profonda mancanza di fiducia e dalla paura. Colmare questa distanza è ormai una priorità.

Per una buona politica di gestione dei rifiuti

La radicalità e l’importanza di questo divario devono impegnare tutti noi, e devono impegnare il Paese, in un’azione sistematica, accurata, duratura e responsabile di informazione e di alfabetizzazione sul tema della gestione dei rifiuti. E di come proficuamente questa possa essere integrata in una corretta politica di sostenibilità ambientale. Non c’è, infatti, contraddizione: applicare un concetto avanzato di difesa dell’ambiente significa coniugare sviluppo economico, qualità della vita, innovazione. E come dimostra Ingels, creatività. Ogni realistica politica di gestione dei rifiuti parte dalla constatazione di un dato evidente: i rifiuti non smetteremo di produrli. Per questo, il modo migliore per venire a patti con questa caratteristica intrinseca al nostro sistema produttivo ed economico è trasformare il rifiuto in risorsa: riducendo la quantità di rifiuti, riciclando quanto è possibile, recuperando energia. Una politica coerente di gestione dei rifiuti comincia a monte, intervenendo con una legislazione attenta sulla produzione dei rifiuti, e prosegue con una raccolta differenziata capillare e informata, favorendo anche sistemi di riutilizzo e recupero. Culmina poi nella termovalorizzazione (in cui giunge, a questo punto, soltanto una parte residuale di rifiuti, quelli che non possiamo utilizzare in altro modo), grazie alla quale dal residuo del rifiuto traiamo tutta l’energia che ancora contiene, e si chiude con la discarica. Ma la priorità su cui devono convergere gli sforzi di tutti deve essere questa: ridurre drasticamente la quantità di rifiuti che finiscono in discarica. Eppure questo ciclo virtuoso, disegnato chiaramente dalla direttiva europea Waste framework directive (2008/98/EC), non è così chiaro nelle sue prerogative, nelle sue stringenti regole interne, non è patrimonio comune e soprattutto, in Italia, non è condiviso come valore.

Recuperare questo gap è possibile

Occorre mettere a punto un’azione di comunicazione congiunta che impegni responsabilmente tutti gli attori coinvolti in questo settore – imprese, istituzioni, territori – per diffondere la conoscenza sul ciclo integrato dei rifiuti e nello specifico sul funzionamento dei termovalorizzatori che sia scientificamente accurata e trasparente, attraverso un linguaggio accessibile e modalità di comunicazione semplice. Occorre agire nelle scuole e con gli adulti. Immaginare campagne di sensibilizzazione e iniziative mirate. Realizzare concorsi e stimolare la creatività e la partecipazione. Sfruttare insomma appieno il ricco e molteplice sistema mediatico, informativo e culturale di cui la nostra società dispone, per raggiungere con contenuti specifici tutti i target necessari. La comunicazione è un’empty box, una scatola vuota che va riempita di contenuti. Scatola che – imprudentemente va detto – spesso viene lasciata vuota proprio da chi questi contenuti li possiede, consentendo così che a riempirla siano soggetti non sempre qualificati o attendibili, quando proprio non in malafede. Se vogliamo recuperare un altro spread che ci separa dal nord Europa, la scatola va riempita. Rapidamente.

Alessandro Beulcke, Presidente Allea – Festival dell’energia

Articolo pubblicato nell’ultimo numero della rivista Formiche


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