Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Marco Cobianchi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
Più vengono definiti «populisti antieuropei» più i «populisti antieuropei» guadagnano voti. Sembra che la campagna elettorale per le europee di maggio, seppure non ancora iniziata, stia dando uno spettacolo identico a quello di tante altre competizioni nazionali. Si parte con una tesi, «l’euro ci danneggia», si risponde con un’antitesi, «ci vuole più Europa», e si arriva alle due uniche sintesi possibili: «Populista», da una parte, e «servo della Merkel» dall’altra. I sostenitori di entrambe le posizioni pensano, ovviamente, di aver ragione, ma chi vuole «più Europa» pensa di averne di più, non solo per quel determinismo di stampo marxista per il quale la storia non può che (cioè: deve) andare solo verso una direzione e solo quella, ma anche perché, essere europei, oggi è sinonimo di cosmopolitismo e tolleranza, a differenza degli «altri» che sono retrogradi e xenofobi. Ma le elezioni non si vincono nell’area C: queste accuse di populismo rivelano o pigrizia o stupidità.
Pigrizia perché rivelano che non si è imparato nulla delle esperienze precedenti, quando il partito di Berlusconi era definito «partito-azienda» senza accorgersi che gli italiani desideravano proprio che l’Italia venisse gestita come un’azienda. O come quando la Lega era «partito localistico e protestatario» senza accorgersi che il Nord era in subbuglio e quello che gli mancava era esattamente un partito che desse voce alle sue rimostranze. Da ultimo, il M5S, partito definito «qualunquista» senza accorgersi che il qualunquismo era il frutto avvelenato di una politica talmente raffinata da essere disgustosa.
Ora la storia si ripete: gli intellettuali cosmopoliti e tolleranti definiscono i «no euro»come dei «populisti» senza accorgersi che ciò fa guadagnare consenso ai populisti (veri o presunti) ogni volta che ripetono il loro mantra. Perché è esattamente di un movimento populista ciò di cui si sente la necessità dopo più di 2 anni di governi che non sono stati votati e che sono percepiti come quelli che hanno messo più tasse «perché è l’Europa che ce lo chiede». Opporre a questo supposto populismo lo slogan «ci vuole più Europa» o, addirittura, «Stati Uniti d’Europa», radicalizza lo scontro e, quando lo scontro si inasprisce, non vincono i ragionevoli, ma gli estremisti. Ammesso e (niente) affatto concesso che «più Europa» sia un atteggiamento ragionevole.
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