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Yomo: quante cose ci dice uno spot

Ecco, se uno vuole comprendere appieno il movimento cinque stelle non può fare a meno di riflettere sul retroterra culturale e comunicativo del suo leader Beppe Grillo. Siamo negli anni 80 quando ancora il comico genovese non pensava alla sua discesa in campo. In quegli anni, lui, Beppe Grillo, era all’apice della notorietà. Veniva chiamato in tutti i varietà più importanti della televisione. Il testimonial giusto, dunque, per promuovere il Made in Italy destinato al grande pubblico, quello da gross market. E così fu scelto come testimonial dello yogurt Yomo, marchio che la famiglia Vesely avrebbe poi ceduto all’attuale gruppo Granarolo.
Non si può capire certa acidità dei grillini senza passare attraverso la galleria di gag che nutrivano, con tanto di fermenti, gli spot sul finire degli anni 80. Ed è interessantissimo, scorrendo la miniserie degli spot del comico genovese, scoprire come in fondo, seppur in versione markettara, fossero già presenti molti dei temi che oggi costituiscono il paradigma del movimento.
Pensate allo spot in cui Grillo se ne sta su di un tappetino, finto, con fiorellini plastificati che al suono della sirena di una fabbrica, premendo un tasto, tornano dentro il ventre del tappeto. Grillo si alza, richiude il finto green, se lo mette sotto braccio e fa come per tornare in fabbrica. La camera, che lo riprende, apre la visuale fino a quel momento in primo piano su di lui, e mostra i colleghi operai, in pausa turno, ciascuno con il suo tappeto finto d’ordinanza che s’incamminano verso i cancelli. Al che Grillo fa: “Ehi ragazzi alla mensa hanno finito lo yogurt al mirtillo, sciopero!”. Ecco, già rivoluzionario. Sic! Già contestatore green.
Non si può capire completamente la pervasività del comico, fattosi politico, senza rievocare lo spot, geniale, della pubblicità telepatica. Ricordate? Una camera illumina il volto di Grillo che compare nell’oscurità e che per mezzo minuto non proferisce alcuna parola. Fissa la camera con gli occhi che, con il tempo e la mimica dell’arte, si stringono evocando con ironico sarcasmo le performance televisive di Giucas Casella il quale, in quegli stessi anni, ipnotizzava il pubblico, peraltro già ipnotizzato dai transiti gastrici del pranzo domenicale, a Domenica In, quella di Pippo Baudo. Lo spot terminava con “Provate a uscire a comprare qualcos’altro!”.

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Tutt’altro che politically correct, a maggior ragione in questi tempi, ecco poi un Grillo travestito da maniaco, con tanto di paltò e cappello neri, che tende un agguato a una donna che risale dalle scale di una metropolitana. Grillo/maniaco le si fa incontro svelando sotto al paltò una maglietta bianca con scritto “Yomo mirtillo”.

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E tutt’altro che politically correct era pure lo spot in cui Grillo dialogava con un marziano che era sceso con la sua astronave sulla Terra per assaggiare lo yogurt. Mentre consuma la gag con il mostriciattolo, che evoca il coevo E.T. di Steven Spielberg, Grillo fa bella mostra di una felpa da campus americano con su scritto: “University of Catanzaro”. Se la comunicazione non è un’opinione è evidente l’equazione. Solo un marziano può pensare che a Catanzaro ci possa essere un’Università. A dimostrazione di come abbia radici lontane la verve da sciacquone che risucchia tutta la penisola.

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E per finire, ho provato a fare questo gioco. Ho provato a immaginare Grillo scritturato per un nuovo spot della Yomo, oggi. Volendo rimanere nel solco delle fortunate gag di allora non ci sarebbe nulla di più coerente e unpolitically correct di uno spot dove questa volta il Marziano che atterra con la sua astronave sulla terra, mentre spiega a Grillo che non trova cambiato né lo Yomo, né lui né l’Italia, fa bella mostra della sua maglietta bianca con su scritto “Grillo politico”.

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