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L’accordo davvero ben poco storico sull’Unione bancaria

Quando gli italiani ce la mettono, battono tutti. Nel dicembre 1971, l’allora Segretario dal Tesoro degli Stati Uniti, John Connally ( un politico puro – era stato Governatore del Texas) definì ‘storico’ ‘l’accordo della Smithsonian institution’ (il castellaccio medievaleggiante, a pochi passi dalla Casa Bianca) dove venne concluso tra i componenti del G-10 (allora i più importati Stati della comunità internazionale) l’accordo per definire nuovi tassi di cambio e margini di oscillazioni dopo che il 15 agosto precedente gli Stati Uniti avevano reciso la convertibilità, a prezzo fisso, tra dollaro USA e dollaro.

ACCORDO

Il Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, (un politico, diciamo, ‘purissimo’) parlò di ‘più grande accordo monetario della storia dell’umanità. Pochi mesi più tardi, Connally tornò nel Texas a fare il petroliere ed il banchiere e, al suo posto, vene chiamato George P. Shultz, un economista di rango che aveva insegnato al MIT di Boston ed era in cattedra a Chicago, e che aveva anche esperienza di governo in quanto era stato Ministro del Bilancio e del Lavoro. Shultz (che sarebbe successivamente tornato alla vita pubblica nel 1982 come Segretario di Stato della prima amministrazione Reagan) si trovò a dover gestire la maggiore (sino ad allora) crisi finanziaria internazionale, quella della primavera del 1973 che abbatté per sempre il sistema di cambi fissi o leggermente variabili attorno a parità definite collegialmente dai Governi.

RICORDO VIVO

Perché ricordiamo queste vicende di molti anni fa? Tanto il vostro ‘chroniqueur’ quanto il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Saccomanni vivevano a lavoravano a Washington in quegli anni (funzionari rispettivamente della Banca mondiale e del Fondo monetario). Sono , quindi, episodi (non solo letture di storia economica) che abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Saccomanni, quindi, avrebbe dovuto essere più cauto prima di definire ‘storico’ il macchinoso accordo sul pilastro relativo alle crisi bancarie raggiunto, a livello dei Ministri, il 18 dicembre e benedetto  dai Capi di Stato e di Governo il 20 dicembre. Non solamente per scaramanzia.

E’ stato, per certi aspetti, più ‘bravo’ di Connally, Shultz e Nixon: mentre tra lo ‘storico’ accordo della Smithsonian institution e la crisi monetaria sono intercorsi circa 16 mesi, Standard & Poor (S&P) ha rintoccato la campana del ‘Settimo Sigillo’ solo poche ore dopo la diramazione del Comunità del Consiglio Europeo. Saccomanni ha battuto, in velocità, Connally, Shultz e Nixon.

VENDETTA?

Sarebbe infantile (e denoterebbe poca dimestichezza con i teoremi di base dell’economia internazionale ) pensare che si tratti di una ‘vendetta’ dei ‘potenti interessi’ dietro le  agenzie di ‘rating’. Tali agenzie fanno il loro mestiere in un contesto sempre più concorrenziale: emettono giudizi sintetici sulle valutazioni di mercato dei titoli. L’accordo ‘ storico ‘ mostra a tutto tondo come si sta cercando di rattoppare il frettoloso, ma ormai più che ventennale, Trattato di Maastricht con rammendi che coprono , per poco tempo, nuove falle.

Una evidente è la rete di sicurezza (a carico delle banche non dei contribuenti) durante i dieci di periodo transitorio per la costituzione del ‘fondo di risoluzione’(da attivare in caso di crisi che comportino il fallimento di istituti tali da avere ripercussioni europee). Avere previsto un percorso di dieci anni per costituire il fondo deve , però, apparire credibile non ai Ministri, ed ai barracuda-esperti che li accompagnano, ma ai milioni di operatori che comprano e vendono valute sui mercati. Già nell’inverno 1991-92, venne definito, con il Trattato di Maastricht un percorso a tappe per entrare nella (allora nuova) moneta unica. I mercati pensarono , a torto od a ragione, che alcuni Stati firmatari non ce la avrebbero fatta; l’esito fu la crisi dell’estate-autunno 1992.

Poche ore dopo la fase sullo ‘storico’ accordo, il MIT ha diramato due lavori di economisti di rango e di differenti estrazioni culturali (del primo, Working Paper N0 13-22, sono autori Daron Acemoglu, Simon Johnson, Amir Kermanu, James Kwak e Todd Mitton; del secondo, Working Paper No. 13 -23, Rajit Sehti 3 Mohamed Yildiz) che, sulla base di esperienze concrete il primo e di analisi teorica, mostrano come la ‘neurofinanza’ abbia un ruolo preponderante (molto più importante di quello dei Ministri) nel far sì che milioni di operatori giudichino su un’intesa terrà o meno.

La mattina del 20 dicembre, a Roma, l’Istituto Affari Internazionali ha organizzato una tavola rotonda a cui hanno partecipato, il Vice Segretario Generale dell’Ocse, Piercarlo Padoan, l’economista (e Senatore PD) Paolo Guerrieri, il Direttore Istat Emanuele Baldacci e l’ex componente dell’Esecutivo Bce Lorenzo Bini Smaghi. L’opinione corrente è che l’accordo raggiunto fosse un ‘bicchiere mezzo vuoto’ . E che non si sa se mai verrà riempito.

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