Il vicepremier Angelino Alfano ha parlato di pericolo di una deriva ribellistica. Non poteva usare parole migliori per descrivere quanto sta accadendo nelle piazze italiane. Vorrei provare ad evitare di entrare nel merito, ma affrontare una riflessione solo apparentemente più distaccata. Lo scopo di questo post non è dare giudizi di valore ma è invitare a riflettere l’una e l’altra parte su una realtà che esiste e che può sfuggire di mano. Su pericoli reali che l’insolita tipologia di questa protesta potrebbe comportare.
C’è un elemento che forse non è stato esaminato a pieno in quanto sta accadendo. Sarà colpa mia, ma non mi sembra ci sia alcuna seria rivendicazione o proposta che accompagna quanti stanno scendendo in piazza. Non voglio dare un giudizio politico. Lo osservo da un preoccupato punto di vista sociologico ed economico. Le altre proteste fino ad oggi, giuste o meno, organizzate o meno, condivisibili o meno, pacifiche o degenerate in violenza, qualche richiesta l’hanno sempre avanzata. Magari utopistica, magari impossibile, magari ingiustificata, ma qualche risposta pretendevano di ottenerla: dalle soluzioni di crisi industriali al problema degli sfratti e delle case, dai problemi della scuola e dell’università a quelli dei precari, dalla TAV al Ponte di Messina, e così via. C’era la richiesta di una soluzione. Stavolta no, stavolta è diverso. Non serve neanche una scusa. La ribellione assume un valore di per se stessa. Mi pare.
I Forconi sono nati in Sicilia e anche lì allora qualche richiesta l’avanzavano: fondamentalmente, gli autotrasportatori volevano vantaggi fiscali sulle accise e gli agricoltori più sovvenzioni e meno vincoli europei. Allora circa il 95% degli autotrasportatori (così trovo scritto) hanno raggiunto un accordo col governo, eppure adesso la protesta è dilagata. Ma non avanza più le stesse richieste. O meglio, per essere più corretti, ciascun microgruppo ha un suo micromotivo per sentirsi in dovere di scendere in piazza, ma tutto rientra in una sintesi generale che non ha alcuna richiesta e proposta precisa. La sintesi forse è un po’ “fa tutto schifo, tutti a casa, no all’austerità, no al governo, no all’Europa, vogliamo stare meglio, vogliamo più soldi”. Che è come dire nulla.
Ma non è solo una critica a chi protesta. Le ragioni dell’esasperazione ci sono tutte, sono in qualche modo comprensibili e comunque sentite sulla propria pelle da quasi tutti. Resta però un punto. Si tratta di una protesta di rabbia e di disperazione. Senza costrutto. Chi non dà ascolto a quella rabbia e a quella disperazione ha gravi responsabilità sul futuro del Paese, ma ancora più gravi responsabilità le ha chi alimenta quei sentimenti senza offrire una soluzione. Proprio perché non c’è uno sbocco, non ci sono richieste, non ci sono proposte, la situazione è più pericolosa, più esplosiva. Non si può non tenerne conto. Oggi in molti credono che la rivolta sia l’unica soluzione. Sbagliano, ma così la pensano. E potrebbero agire di conseguenza. Con pericoli seri per la sicurezza.
Pericoli di cui bisogna prendere atto, così come chi ha ancora un barlume di lucidità deve prendere atto di un altro aspetto. La rabbia distrugge tutto, ti sfoghi, e dopo stai peggio di prima, e devi pagare i danni che hai causato. Ma non hai risolto nulla. Oggi dovrebbe essere il momento delle soluzioni. Vero è che il momento era già ieri, ma è sempre tempo di iniziare. Sembra che in molti, e anche i manifestanti e chi li alimenta, abbiano in mente solo il sogno utopico di tornare a un mondo che non c’è più, un mondo in cui c’erano lavoro e ricchezza da distribuire. Oggi non è più così e lo sforzo va concentrato su questo: costruire lavoro e ricchezza, rimboccandosi le maniche. Non è facile, è disperante, ma fare macerie a cosa serve?