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Chi ha paura della Webtax?

web tax

Ci sono temi che sono troppo seri per essere lasciati in balia della propaganda e dell’inaccuratezza delle affermazioni. Sembrerebbe proprio il caso della webtax.

Con un emendamento alla Legge di Stabilità (art. 17 bis), il deputato PD Edoardo Fanucci, ha introdotto quella che è passata in gergo giornalistico col nome – volutamente ambiguo – “webtax“.
L’articolo recita così: “I soggetti passivi che intendano acquistare servizi on line sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana“.

I servizi a cui si riferisce il legislatore, si legge su Repubblica, “sono le compravendite di spazi pubblicitari on line, link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (altrimenti detti servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili. Con la nuova legge, tutti dovranno essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti (editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario) titolari di partita Iva italiana e dovranno essere pagati tramite bonifico bancario per definire la tracciabilità del pagamento“.

Si apre così un caso mediatico che distorce la realtà, come sempre. La dicitura “webtax” sembra indicare un tentativo di colpire il privato cittadino che acquista online, o il fruitore di servizi online: è l’esatto opposto.

L’introduzione di questa normativa serve a imporre alle multinazionali che vendono a clienti italiani, di non aggirare le leggi italiane e dunque è un intervento “protezionsta” nel senso che cerca di recuperare sovranità rispetto ad uno spazio immateriale che non ha chiari limiti. Se siti e-commerce vendono/scambiano prodotti/servizi su piattaforme che coinvolgono i clienti italiani è giusto, credo, che il legislatore preveda norme e regole precise per evitare casi di evasione fiscale, spostamenti di capitali senza tracciabilità ed altro ancora.

Sul web, che tutti riconosciamo come spazio aperto, possono realizzarsi azioni lecite ed illecite, scambio e commercializzazione di materiale non autorizzato o spostamento di capitali che non sono, ad oggi, tracciati se vengono usate piattaformenon registrate.

Per questo trovo importante l’introduzione di una norma, che può sicuramente essere migliorata, che guarda allo spazio web come un luogo soggetto alla legge. Abbiamo già enormi difficoltà a diffondere la cultura della legalità avendo rivenditori/consumatori fisici, sul territorio nazionale, sul web è (era) un far west.

L’emendamento, quindi, specifica che “costituisce stabile organizzazione l’utilizzo abituale della rete nazionale, sia essa fissa, mobile o satellitare, per trasmettere dati da elaboratori elettronici, localizzati anche al di fuori del territorio nazionale, verso indirizzi IP italiani, al fine di fornire servizi online, ivi inclusi quelli consistenti in tutte le azioni poste in essere al fine di attribuire maggiore visibilità sulla rete internet al fruitore del servizio, compresi banner o finestre di pop up visualizzati nelle pagine web, indicizzazione e visualizzazione di link sponsorizzati sui motori di ricerca, annunci pubblicitari trasmessi via email, visualizzati all’interno di social network o per mezzo di applicazioni su dispositivi mobili“.

La norma deve poter tutelare il nostro Paese dal punto di vista del rispetto delle regole, delle leggi e del pagamento delle tasse che spettano. Deve essere intesa come una norma che tutela il consumatore e la collettività (nella misura in cui interferisce con l’evasione) e deve, però, garantire il rispetto della privacy, la legittimità dell’uso dello strumento da parte degli internauti e un modo per diffondere legalità e non controllo.

Sarebbe intelligente, onesto e opportuno analizzare le cose per quello che sono. La webtax non esiste, esiste una norma che intende limitare le irregolarità, la concorrenza sleale anche (nei confronti dei rivenditori italiani per esempio e del consumatore in ultima analisi, consapevole o meno) e lo strapotere economico delle multinazionali.

Se tale norma diventa invece una tassa per l’utente allora certo dobbiamo dire no.

Altra questione è quella sulle regole in rete di condivisione di materiali, link, notizie. Sarebbe un assurdo dover avere per ogni link copiato e incollato di materiale free online, l’autorizzazione. Anche solo questo post non potrebbe essere pubblicato, avendo inserito nell’articolo collegamenti ipertestuali. Le normative di “controllo” sull’uso di materiale protetto da copyright sono giuste nella misura in cui non toccano, e questo è da specificare, le informazioni generiche, i link “specchio”, ossia quelli che ti indicano delle informazioni e ti rimandano poi al file originale (questo deve restare possibile, a mio avviso e non deve essere compromesso).

Le informazioni che appaiono su google notizie per esempio, come dice terrorizzato Grillo sul suo blog, non devono essere rese “illegittime”. Ma questo è un altro discorso e ci torneremo.

Se la norma qua discussa resta un tentativo di arginare le multinazionali, imporre trasparenza sugli scambi economici e incentivare il consumo nel rispetto delle leggi vigenti in Italia, allora ben venga la “webtax“.

Sono aperto ad ogni critica e osservazione, magari ho frainteso io il senso della norma, allora discutiamone.

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