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L’importanza di un’eurozona della difesa

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Di un fatto siamo certi. Alla vigilia del Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre dedicato, dopo molti anni, al tema della difesa europea, non si parlerà di cooperazione strutturata permanente (Pesco).

COOPERAZIONE STRUTTURATA PERMANENTE
Fuori dai tecnicismi del Trattato di Lisbona e dai misteri dell’acronimo usato, la cooperazione strutturata permanente non è altro che una possibile eurozona della difesa. In altre parole, alcuni paesi membri dell’Unione europea (Ue) possono decidere di mettersi insieme per procedere verso la costituzione di un nucleo ben strutturato di difesa europea.

Fantasie? Sembra proprio di sì. A ribadirlo, tra l’altro, è anche il fatto che il prossimo Consiglio europeo ha già cambiato faccia. Doveva occuparsi quasi esclusivamente di difesa, invece questo tema lungamente preparato e discusso nel corso dell’anno finirà per essere trattato a latere.
Dall’Ucraina all’Unione bancaria: premono problematiche più urgenti. Anche in assenza dei nuovi temi introdotti nell’agenda del vertice però, il risultato non sarebbe cambiato.

Sia nei documenti preparatori della riunione – fra cui una dettagliata roadmap predisposta dall’Alto rappresentate Catherine Ashton – che nella bozza di conclusioni concordata dai ministri degli esteri, la questione dell’Eurozona della difesa è stata ignorata.

INNOVAZIONI E AMBIZIONI
Il fatto è un po’ paradossale poiché la Pesco rappresenta una delle grandi innovazioni del Trattato di Lisbona. Si pensava quindi che da parte degli stati che avevano ratificato nella sua interezza il trattato si avvertisse l’esigenza di riprendere il discorso lasciato cadere drammaticamente sessanta anni fa, nel 1954, con l’accantonamento della Comunità europea di difesa (Ced).

Anche se meno ambizioso, il disegno della Pesco rappresenta tuttavia qualcosa di più rispetto alla semplice cooperazione nel campo della sicurezza e difesa, sperimentata con il rilancio voluto da Tony Blair e Jacques Chirac a Saint Malo nel 1998.

A leggere infatti gli articoli del trattato, dall’art. 42 all’art. 46, sembra di ripercorrere lo stesso cammino che ha dato vita alla moneta unica: solo quegli stati che ne dimostrino volontà e capacità possono decidere di dare vita a una cooperazione strutturata “permanente”.

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Gianni Bonvicini è vicepresidente vicario dello IAI


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